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L’Italia del divorzio. La battaglia tra stato, chiesa e gente comune

Fiamma Lussana
Roma, Carocci, 227 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2014

Si tratta di una nuova ricostruzione della vicenda del divorzio in Italia dopo i precedenti
volumi sull’argomento. Il titolo risulta un po’ fuorviante per due ragioni: la gente
comune appare solo sullo sfondo, mentre viene dato ampio spazio alla storia delle dirigenze
dei partiti; inoltre, l’arco cronologico si ferma sostanzialmente al 1970, visto che l’a. dedica
appena una decina di pagine al periodo che va dalla legge all’anno del referendum.
La parte più interessante del volume è la ricostruzione dettagliata delle vicende politiche
durante il dibattito all’Assemblea costituente di cui vengono presentate in modo
convincente e approfondito le posizioni in campo, concentrandosi in particolare sulla Dc
e sul Pci, su quello che l’a. chiama lo «spirito di comunità» laico o cattolico, in cui l’individuo,
le sue aspettative, i suoi sogni, non contavano praticamente nulla (p. 53). Sulla
base di questa interpretazione viene individuato un filo di continuità di atteggiamenti tra
dirigenza democristiana e comunista.
Di certo utili e stimolanti risultano le riflessioni dedicate all’arretratezza e ambivalenza
del Pci, la cui morale, lo si sottolinea, somiglia molto a quella cattolica (pp. 50-51).
Questo approccio, che riserva un peso enorme alla «apparentata» concezione dei cattolici
e dei comunisti sulla famiglia (a p. 17, si dice che l’Udi era un’organizzazione femminile
aperta a tutte le donne, senza partito, comuniste, socialiste e anche cattoliche, mentre, più
realisticamente, quest’ultime erano già riunite nel Cif che a essa si contrapponeva come
organizzazione femminile di massa) è riproposto in tutto il volume.
Senza questa eccessiva rigidità si sarebbe potuto cogliere meglio la portata dei cambiamenti
culturali e sociali avvenuti a partire dagli anni ’60 nella società italiana, nonché
l’ampiezza e la diversità delle posizioni in campo: al di là delle apparenze, il mondo della
Chiesa (affrontato marginalmente) non era schierato in modo compatto – c’erano contrasti
forti non solo tra i gruppi dell’associazionismo cattolico, per l’enorme ruolo svolto dai
«cattolici del dissenso», ma anche nelle stesse gerarchie ecclesiastiche –, lo stesso vale per
la posizione interna alla Dc, e di contro, ampie differenziazioni hanno riguardato il fronte
laico; un po’ in sordina rimane il ruolo del gruppo socialista (con diversificazioni interne
a sua volta), dei movimenti femministi e della nascente componente radicale.
Molto utile risulta l’appendice di lettere e cartoline inedite dei cosiddetti «fuorilegge
del matrimonio», da cui si sarebbe potuti partire per un’analisi delle esigenze della gente
comune, cioè le masse di operai, contadini e casalinghe, e soprattutto quel ceto medio che
iniziava già allora, su certi temi sensibili, a prendere posizioni che superavano le ideologie
e i rigidi meccanismi di partito. Senza queste premesse non si possono capire, infatti, le
ragioni per cui, rispetto alla somma dei voti dei vari partiti dei due fronti alle precedenti
elezioni nazionali (1972), al referendum si spostarono circa tre milioni di voti, elemento
determinante per il risultato e la vittoria della cosiddetta «Italia moderna».

 Giambattista Scirè