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L’Italia del Piave. L’ultimo anno della Grande Guerra

Daniele Ceschin
Salerno, 232 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il centenario della Grande guerra ha fornito l’occasione per una sorta di consuntivo
imprescindibile in ambito storiografico. In particolare, nel 2017-2018, sono usciti numerosi
studi che hanno avuto come focus le fasi conclusive della guerra e Caporetto come
snodo decisivo, ancorché traumatico, del conflitto bellico sul fronte italiano. Con L’Italia
del Piave, Daniele Ceschin ha inteso ampliare l’orizzonte dell’analisi raccontando l’ultimo
anno di guerra, quello compreso tra la rovinosa sconfitta italiana dell’ottobre-novembre
1917 nell’Alto Isonzo e il successo conseguito a Vittorio Veneto esattamente un anno
dopo, nell’autunno 1918. Ovviamente non si tratta unicamente di una storia militare.
L’a., non nuovo ai temi della Grande guerra, ha dedicato una porzione significativa
delle sue riflessioni agli aspetti politici, sociali, economici, morali, alle ricadute della
sconfitta sul fronte interno, agli effetti della guerra sui civili, ai profughi e a coloro che,
nel Friuli e in parte del Veneto, furono costretti a subire un’occupazione austro-ungarica
pesante e brutale. E poi ancora il fondamentale ruolo della propaganda, tanto nel risollevare
il morale dell’esercito in prima linea sul Piave, sul Montello e sul Grappa, quanto
nel ridestare nella società civile le energie e le risorse necessarie a proseguire (e vincere)
il conflitto. «Resistere per esistere» diventa lo slogan ufficiale di uno sforzo che doveva
accomunare soldati e civili indistintamente.
Caporetto costituì un momento spartiacque per molti motivi e certamente la sconfitta
amplificò ancor più, se possibile, i caratteri che la guerra italiana aveva avuto fino
a quel momento: la coercizione sui soldati non venne meno e anzi aumentò il controllo
poliziesco sui civili e sui lavoratori, la persecuzione/repressione del nemico pacifista e
neutralista, additato erroneamente come il principale responsabile del tracollo militare,
subì un’ulteriore impennata, le libertà civili e democratiche risentirono pesantemente di
un clima autoritario ormai ampiamente diffuso in tutto il paese. Gli interventi in ambito
assistenziale o l’introduzione di correttivi nella gestione delle risorse alimentari, l’azione
di sostegno intrapresa a favore dei soldati e delle loro famiglie, non valgono nel complesso
a cancellare l’impressione di un popolo sostanzialmente estraneo alle ragioni della guerra.
Un conflitto feroce che chiese ulteriori sacrifici dopo Caporetto, che lasciò dietro di sé
oltre un milione di morti (650 mila soldati, 600 mila civili), macerie materiali e morali, e
una serie di questioni (politiche, economiche, culturali e sociali) irrisolte che ipotecarono
il primo dopoguerra sino ad aprire le porte al fascismo e alla dittatura.

Lorenzo Gardumi