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L’Italia e la fine della guerra fredda. La politica estera dei governi Andreotti (1989-1992)

Antonio Varsori
Bologna, il Mulino, 270 pp., € 23,00

Anno di pubblicazione: 2013

Antonio Varsori è professore di storia delle relazioni internazionali all’Università di Padova nonché autore di numerosi saggi e monografie sulla politica estera italiana. Questo suo ultimo lavoro esamina sei episodi della politica estera italiana che coincidono, a livello internazionale, con la fine della guerra fredda, e, in Italia, con gli ultimi due governi Andreotti. Nello specifico, questi sono la riunificazione tedesca, la guerra del Golfo, i rapporti con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), l’inizio del processo di disintegrazione jugoslava, l’emergenza albanese e il trattato di Maastricht.
Il sottotitolo del volume va inteso come riferentesi solamente al periodo temporale esaminato e al fatto che la ricerca si basa esclusivamente, almeno per quanto riguarda le fonti primarie, sui documenti dell’archivio Andreotti conservato presso l’Istituto Luigi Sturzo a Roma. Il volume mostra che la politica estera dei due governi Andreotti non si è significativamente discostata da quella dei governi precedenti. Le sue scelte sono state più reattive che proattive; influenzate da considerazioni di politica interna (il trattato di Maastricht); caratterizzate da velleitarie ambizioni di presenzialismo (ad esempio, il tentativo di ricondurre le negoziazioni sulla riunificazione tedesca in seno a un’organizzazione atlantica o europea) e mediazionismo (i reiterati tentativi di porsi di fronte a Washington come interlocutore privilegiato dell’Olp); e spesso tentennanti a causa delle non poche divisioni politiche e diplomatiche interne (ad esempio, la sofferta decisione di partecipare all’intervento delle Nazioni Unite nella guerra del Golfo in contrasto con le insistenti pressioni di un sedicente movimento pacifista).
Da un punto di vista accademico il volume presenta due lodevoli novità. In primo luogo, Varsori mette in risalto il ruolo centrale del corpo diplomatico nella formazione della politica estera italiana, soffermandosi in particolare sul ruolo sfacciatamente filoiracheno e filopalestinese dell’ambasciatore Torquato Cardilli. In questo contesto va sottolineato come Varsori noti – giustamente a mio giudizio, ma al contrario di molti altri osservatori che hanno invece preteso vedere e denunciare una presunta svolta filoisraeliana – come solo successivamente i governi di Roma «avrebbero indirizzato la politica estera italiana verso un atteggiamento di equidistanza fra le tesi palestinesi e quelle israeliane» (p. 120). In secondo luogo, Varsori si sofferma anche sul ruolo di nuovi attori subnazionali nella formazione e condotta della politica estera. Durante la disintegrazione della Jugoslavia, per esempio, le regioni del Nord-ovest condussero una specie di diplomazia parallela in contrasto con Roma, e in favore del riconoscimento della Slovenia e della Croazia.
Senza dubbio, una volta che le fonti primarie diventeranno disponibili, altri studiosi si occuperanno di questo periodo; ma questo volume rappresenterà per tutti loro l’obbligatorio punto di partenza.

Osvaldo Croci