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L’ombre de la guerre froide. Socialistes italiens, International socialiste et États-Unis (1945-1966)

Paolo Mattera
Paris, L’Harmattan, 295 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il libro di Paolo Mattera, trattando le relazioni tra i socialisti italiani e l’Internazionale
socialista dalla fine della seconda guerra mondiale al 1966 (anno in cui il Psi vi
fu riammesso), pone innanzitutto una questione metodologica: come si studia la storia
politica (un settore della storiografia dato per morto più volte e i cui cultori sono spesso
accusati, più o meno a ragione, di coltivare il proprio campo di studi in modo tradizionale,
prestando eccessiva attenzione alle scelte dei gruppi dirigenti e alle dinamiche
organizzative degli apparati)? La risposta, nella sua complessità, è apparentemente semplice:
cercando di tener presenti il più possibile i risultati ottenuti non solo dalla storia
politica e delle relazioni internazionali, ma anche da quella culturale, sociale, economica
ecc., senza dimenticare gli apporti della scienza politica. È quanto riesce a fare Mattera,
grazie alla conoscenza approfondita della bibliografia in materia e a un ampio scavo degli
archivi italiani ed esteri (in particolare quelli dell’Internazionale socialista, della Sfio e del
Labour Party).
Emerge quindi una vicenda di condizionamenti reciproci, tra politica estera e politica
interna, ma anche tra partiti socialisti che, sullo sfondo della guerra fredda, cercavano,
ciascuno a suo modo, di difendere i propri valori e la propria autonomia. In particolare,
per ciò che riguarda il Psi, va tenuta in considerazione la sua «anomalia» (a lungo rivendicata
dai suoi stessi dirigenti) di partito socialista occidentale (e quindi costretto a fare i
conti con le grandi trasformazioni sociali provocate dallo sviluppo impetuoso dell’economia
nel dopoguerra), ma strettamente legato da un vincolo di «unità di classe» con il Pci e
di conseguenza, almeno fino al 1956, anch’esso in buona parte dipendente dalle scelte (e
dai finanziamenti…) dell’Unione Sovietica, tra le quali vanno annoverate quelle del neutralismo
e dell’opposizione all’adesione alla Nato, che diventeranno, alla fine degli anni
’50, uno degli ostacoli da superare nel lento cammino di avvicinamento al governo.
Parimenti, anche i rapporti con l’Internazionale socialista seguirono lo stesso andamento,
complicati, oltre che dalla presenza dei socialdemocratici seguaci di Saragat, anche
dalle incomprensioni causate, come osserva l’a. (pp. 110-111), dall’uso di categorie di interpretazione
della realtà politica assai differenti: democrazia/totalitarismo per l’Internazionale,
proletariato/clerico-fascisti per i socialisti italiani. L’adesione senza riserve al sistema democratico-
parlamentare e la critica a quello sovietico (senza rinunciare ideologicamente alle
proprie caratteristiche di partito della classe operaia, pur con un’attenzione crescente verso
i ceti medi, sulla linea delle correnti di sinistra di Spd, Sfio e Labour Party) consentiranno
quindi al Psi di reinserirsi gradualmente nelle dinamiche dell’Internazionale socialista, fino
al suo reingresso a pieno titolo nel 1966, al congresso di Stoccolma.

Giovanni Scirocco