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Lorenzo Carlesso – Centomila prigionieri italiani in Sud Africa. Il campo di Zonderwater – 2009

Lorenzo Carlesso
Ravenna, Longo, 230 pp., euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2009

La monografia di Lorenzo Carlesso descrive la storia del campo di Zonderwater, la cosiddetta «Città del Prigioniero», talmente esteso da concentrare più di 70.000 militari italiani catturati dagli inglesi durante le prime campagne africane della seconda guerra mondiale. Il progetto sostenuto dalla Regione del Veneto sull’emigrazione dai propri territori ha indotto l’a. ad occuparsene già in Veneti in Sud Africa, edito nel 2008.Ora ricostruisce l’istituzione e le iniziative che caratterizzarono la sua quotidianità dal 1941 al 1947; ad introdurle, un quadro generale sulle fasi della guerra e le relative sconfitte italiane. Propone quindi una sintesi sull’armistizio del 1943 con le conseguenze per la vita dei prigionieri, sino alla fine del conflitto e alle problematiche relative al rimpatrio. Da ultimo, uno sguardo attento all’Associazione «Zonderwater Block ex POW», custode della memoria del campo e dei suoi morti.La ricostruzione della vicenda si propone, sin dal titolo, come una rappresentazione dell’esperienza vissuta dagli ex prigionieri. La principale fonte che l’a. utilizza è infatti il lavoro di Mario Gazzini, che scelse durante la detenzione di dedicarsi alla conservazione e alla successiva divulgazione della memoria della guerra disarmata. La integrano stralci documentari raccolti dall’Associazione e passaggi tratti da un saggio ancora significativo del 1986. Mancano totalmente i riferimenti alla storiografia più recente che, in special modo con Bob Moore, ha ricostruito la prigionia italiana analizzando il significato politico ed economico che ebbe per i detentori. Non si dà spazio dunque all’analisi della complessa politica razziale con cui il governo sudafricano si dovette confrontare impiegando già dal 1941 lavoratori bianchi, specializzati, ma in condizione di minorità sociale. Non si considera la relazione tra Zonderwater, i campi limitrofi e quelli in Gran Bretagna verso i quali venne convertito il flusso dei prigionieri.Bene fa Carlesso a rilevare l’eccezionalità del campo per la sua grandezza e per il fatto che rappresentò il nucleo di partenza dell’emigrazione del dopoguerra; tuttavia, avrebbe dovuto considerare il fatto che gli ultimi reduci a rimpatriare partirono proprio da qui perché ritenuti i più temibili tra i nostalgici fascisti, ampliando quindi l’analisi riservata alle fazioni politiche interne. Non da meno, la disponibilità ad accogliere gli italiani come immigrati si legava alla politica che i governi e la diplomazia italiani intrapresero nel 1944 per mantenere i prigionieri nelle località di concentramento una volta liberati.Più di vent’anni fa Chiara Ottaviano definì la memoria di questo campo un «mito» in grado di trasmetterne solo gli aspetti positivi. Carlesso propone un’opera compilativa che consolida questo mito, indubbiamente significativo per chi, come i membri dell’Associazione, ha scelto di farsene interprete. Resta l’auspicio che la troppa noncuranza storica per queste vicende non induca a confondere la partecipazione affettiva con l’originalità nell’indagine, la quale mi auguro possa progredire ulteriormente accogliendo le sollecitazioni della storiografia recente.

Erika Lorenzon