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L’organizzazione della ricerca storica in Italia

Andrea Giardina, Maria Antonietta Visceglia (a cura di)
Roma, Viella, 309 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2018

Gli interventi qui raccolti, originati dall’ottantesimo anniversario della Giunta cen- trale per gli studi storici, creata nel 1934 nell’ambito del riassetto degli istituti e degli studi storici promosso dal regime fascista, disegnano un quadro molto utile e di lungo periodo.
Il richiamo alle disposizioni legislative e alle attività delle istituzioni nel passato, come evidenziano i curatori, consente di dare profondità storica ad alcune tendenze dell’orga- nizzazione della ricerca in Italia, fino alle attuali sue modalità di articolazione in una fase di rapide trasformazioni.
L’ampio saggio di G.M. Varanini si concentra sulle deputazioni e società di storia patria, la cui vicenda – «tra disciplinamento e ritorno all’autonomia» (p. 33) – è ricostru- ita con alcune esplorazioni sulle fonti che permettono prime verifiche locali sull’impatto della riforma centralistica degli anni ’30 e sulla transizione al dopoguerra. Le considera- zioni finali, allungando lo sguardo alla situazione non propriamente rosea degli ultimi anni, aprono la strada agli interventi sulle questioni attuali inerenti allo stato di salute dell’organizzazione della ricerca storica in Italia, in cui agiscono gli istituti storici nazio- nali (M. Miglio), il Cnr (R. Pozzo) e la più recente fitta rete associativa. Le procedure di valutazione e gli organismi deputati allo scopo – a partire dall’esperienza dell’Anvur (A.
Graziosi) – riaffiorano a più riprese come termine di confronto in molti testi del volume.
È il caso dei percorsi dei dottorati in storia (M. Malatesta), che hanno conosciuto non poche revisioni normative e il cui possibile rilancio in termini di aggregazione disciplinare non è esente da freni e incertezze. L’intreccio tra i criteri di valutazione della ricerca e le loro ricadute ai vari livelli della circolazione del sapere storico torna nella discussione sul cruciale rapporto tra editori e storia (W. Barberis, U. Berti, G. Laterza, C. Palombelli): temi e questioni che non sono separabili, a loro volta, dalla riflessione sulle fonti, sui nuo- vi strumenti e linguaggi di un campo sospeso «tra tradizione analogica e realtà digitale» (M. Giannetto, p. 181).
La sezione finale del libro inquadra la funzione e l’attività delle associazioni sorte negli ultimi decenni (Sis, Sissco, Sisem, Sismed, di cui parlano I. Chabot, A. Giovagnoli, M. Verga, G. Petralia). Sono questi i sodalizi che, in azione coordinata con la Giunta, si interrogano oggi con più assiduità sulle modalità di formazione di nuovi spazi di lavoro e di discussione. In un contesto sottoposto ad accelerazioni improvvise e tutt’altro che facili da gestire, la ricerca tradizionale è chiamata a confrontarsi – non senza tensioni – con le pratiche e i linguaggi (si pensi alla public history) che sono sollecitati dalle nuove domande sociali di storia: nel denso contributo che chiude il volume, Tommaso Detti si interroga su questa situazione in movimento, in cui la mutata funzione sociale del passato impone un profondo ripensamento della stessa «figura sociale» dello storico.

Massimo Baioni