Cerca

Luca Biancani – Il fascismo britannico (1920-1945) – 2008

Luca Biancani
Roma, Aracne, 256 pp., euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2008

Questo testo offre un’utile rassegna della storiografia sul fascismo britannico per chi non conoscesse la lingua inglese. In inglese è infatti stata pubblicata una mole sorprendente di libri e articoli sull’argomento, se consideriamo lo scarso successo del fenomeno. È problematica quindi l’affermazione secondo cui l’approccio seguito finora dalla storiografia inglese sia stato riduttivo, senza «una contestualizzazione più ampia del fenomeno» (p. 11), quando storici come Thurlow, Linehan e altri hanno scandagliato la realtà politica e sociale in cui si è inserito il fascismo inglese. Esistono inoltre studi che analizzano le relazioni fra fascismi di diversi paesi dal punto di vista politico, sociale e culturale. Come hanno spiegato diversi storici, la solidità delle istituzioni britanniche fu il motivo fondamentale della mancata affermazione del fascismo inglese. L’importanza di questo fenomeno, tra l’altro, non è stata oscurata, né dalla storiografia, né dalla didattica (incredibile, per chi insegna storia contemporanea in Inghilterra, il numero di studenti che chiedono di fare la tesi sulla Buf ), né dai mass media (la TV inglese ha perfino prodotto, dieci anni fa, un film a puntate sulla vita di Mosley). Interessante la panoramica sui partitini e gruppi fascisti britannici, che mostra un fascismo autoctono anziché copiato dall’estero; l’a. li inserisce nel contesto della crisi seguita alla Grande guerra, ma anche in quello del pensiero razzista d’inizio secolo. Sorprende la quantità di partiti fascisti sorti in Gran Bretagna, dai nomi più svariati e che continuarono a crescere malgrado l’affermazione della Buf, «minuscole organizzazioni legate alla figura eccentrica dei loro creatori» (p. 71), accomunati da antisemitismo, antibolscevismo e nazionalismo. Ignorati da Mussolini e in patria, il loro impatto sulla politica britannica degli anni ’20 fu inesistente, ma importante fu la loro influenza sui movimenti fascisti degli anni ’30. Questa parte del libro, pur non essendo basata su nuove ricerche, ben descrive il quadro storico e storiografico dei precursori e dei partiti minori. Il seguente ritratto di Mosley (in particolare «Mosley il conservatore») tende invece ad affidarsi principalmente a due fonti: al suo biografo Skidelsky, la cui interpretazione favorevole a Mosley è stata più volte criticata dalla storiografia, e al resoconto di Nicholas, figlio di Mosley stesso. La consultazione di fonti diverse avrebbe prodotto un quadro meno simpatetico nei confronti di Mosley, le cui caratteristiche intellettuali sono talvolta esagerate. Basti osservare l’alta considerazione delle sue teorie economiche, in realtà poco originali: non aveva certo scoperto lui il concetto del «sotto consumo» rispetto alla disoccupazione, né il corporativismo. Alla luce degli scritti di Mosley e di altri fascisti inglesi, sembra esagerata la qualifica di intellettuali che Biancani attribuisce loro, e, nel caso di Raven Thomson, addirittura di filosofo. La parte di ricerca originale presentata in questo volume riguarda i finanziamenti fra la Buf e l’Italia e la Germania, e in particolare i canali attraverso cui questi finanziamenti avvenivano.

Claudia Baldoli