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Luca Borsi – Storia, nazione, costituzione. Palma e i «preorlandiani» – 2007

Luca Borsi
Milano, Giuffrè, 401 pp., Euro 39,00

Anno di pubblicazione: 2007

Il libro di Luca Borsi analizza nel primo capitolo il pensiero del giuspubblicista Luigi Palma, autore fra l’altro, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 dell’800, di un rinomato Corso di diritto costituzionale. Né si limita a collocare Palma nel contesto intellettuale a lui immediatamente contemporaneo, presentando anche il suo pensiero come una sorta di summa e sistematizzazione della riflessione costituzionalistica italiana sviluppatasi nel trentennio successivo al ’48. Proprio su questa riflessione si concentra il corposo secondo capitolo di Storia, nazione, costituzione, dedicato appunto ai «preorlandiani», ossia a una quantità di autori – alcuni rilevanti, altri meno – che nei decenni a cavallo dell’unificazione ragionarono intorno ai principi del diritto pubblico, e che a parere dell’a. sono stati troppo spesso ingiustamente trascurati.La chiave interpretativa principale a partire dalla quale Borsi interpreta sia Palma sia i preorlandiani è quella della «scoperta dello Stato»: ossia di una riflessione giuspubblicistica che soltanto con il trascorrere del tempo, e soprattutto a partire dagli ultimi due decenni del XIX secolo, individua nello Stato il punto nodale delle proprie costruzioni intellettuali. Rivelandosi nel periodo precedente assai meno statalista di quanto possa presumersi. Proprio il rapporto fra Stato e nazione appare così un elemento cruciale di differenziazione fra Palma (classe 1837) e Orlando (classe 1860): il primo, nel solco della tradizione rivoluzionaria, assai più propenso a riconoscere l’esistenza autonoma della nazione, sia pure neutralizzandone con cura qualsiasi interpretazione russoviana; il secondo invece intento a sottolineare come soltanto lo Stato potesse dare alla nazione (e al popolo) una reale esistenza giuridica.Per il resto, nelle opere di Palma è possibile ritrovare non pochi degli elementi che caratterizzano la cultura liberale italiana – e non soltanto giuspubblicistica – degli anni ’60-80, e che la storiografia ha già messo in luce da qualche tempo: l’attenzione al modello britannico e l’ansia di replicarlo (un’ansia di «ancoraggio storico» che spinge Palma a sottolineare che «pure noi abbiamo oltre trent’anni di vita costituzionale»); le perplessità crescenti di fronte alla democratizzazione della vita politica d’oltremanica; la «scoperta» – proprio tramite la Gran Bretagna – del governo di gabinetto, come meccanismo capace di far convivere la centralità del Parlamento con la prerogativa regia; la comprensione del fenomeno dei partiti politici, coniugata però con la convinzione che il meccanismo elettorale debba non designare dei rappresentanti, ma selezionare i migliori, e che le condizioni dello spirito pubblico italiano non siano tali che nella penisola possa davvero essere riprodotto un sistema partitico «all’inglese».Il libro non merita una recensione che termini con una nota negativa. Però un piccolo rilievo critico dobbiamo proprio aggiungerlo: la leggibilità del volume sarebbe risultata maggiore se l’a. avesse usato una prosa un po’ meno? «preorlandiana».

Giovanni Orsina