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Lucia Valenzi – Donne, medici e poliziotti a Napoli nell’Ottocento. La prostituzione tra repressione e tolleranza – 2000

Lucia Valenzi
Liguori, Napoli

Anno di pubblicazione: 2000

“Les prostituées sont aussi inévitables, dans une agglomération d’hommes, que les égouts, les voiries et le depôts d’immondices”, così osservava nel 1836 Alexandre Parent-Duchâtelet, riassumendo la politica delle amministrazioni ottocentesche europee nei confronti della prostituzione. A partire da questo assunto, Lucia Valenzi si propone di legare l’esperienza napoletana a processi di rilevanza più generale. I sei capitoli del libro uniscono elementi di legislazione e di pubblicistica con dati di prima mano, tratti dai fondi archivistici della Prefettura e della Questura di Napoli al fine di descrivere il progetto – tanto ambizioso quanto fallimentare – di controllare, misurare e contenere la prostituzione, nonché l’impatto che ebbero nella realtà napoletana le politiche via via attuate dai governi – dalle prime prammatiche settecentesche alla legislazione regolamentarista, sino al Regolamento Crispi del 1888.
Per quanto il tema trattato non sia nuovo agli studiosi, ne risulta un libro ben documentato e di piacevole lettura, in cui accanto ad una chiara sintesi espositiva non mancano alcune originali riflessioni che fanno soltanto rammaricare che l’autrice non abbia sfruttato maggiormente quel “ricco materiale archivistico utile allo studio della storia della prostituzione” (p. 4) di cui la città disporrebbe. Risulta che anche a Napoli, come altrove in Europa, era difficile tracciare dei confini netti tra gli spazi – leciti o illeciti – o tra i corpi – delle donne oneste o disoneste -, e anche là la paura del dilagare di fenomeni come quello della prostituzione si legava a ben altre paure e ansie di controllo. È significativa l’importanza che assunsero le visite mediche a cui furono costrette le prostitute: la paura per la diffusione della sifilide giustificava la necessità di minuziosi controlli, e insieme la necessità di isolare la vita di queste donne dal resto del corpo sociale, restringendo la loro esistenza entro le mura di un bordello, di un asilo, di un sifilicomio, o di un carcere. Ma questo controllo sui corpi, che fu sanitario e insieme di polizia (da cui i tre protagonisti del titolo del libro), se ufficialmente giustificato dall’ansia per il contagio, altro non fu che un tentativo di controllare la sessualità femminile, nato dalla paura “del dilagare di un mercato del sesso senza freni” (p. 4). Simbolo e sintesi dell’ambiguità delle politiche di regolamentazione è l’istituto napoletano di S. Maria La Fede, che lungo l’Ottocento fu insieme ospizio, sifilicomio e carcere (cap. V). L’ambiguità di funzioni che questo istituto fu chiamato a svolgere caratterizza tutto il sistema della pubblica beneficenza napoletana dell’epoca, di cui la Valenzi è un’attenta conoscitrice, ma quest’incertezza di confini e di funzioni tra detenzione e internamento, tra soccorso e repressione della devianza delle donne, caratterizza più in generale per tutto il secolo molti istituti di internamento femminili europei, creando una linea di continuità tra antico e nuovo regime di cui questa ricerca offre nuove conferme.

Simona Trombetta