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Lucri di guerra. Le forniture di armi e munizioni e i «pescecani industriali» in Italia (1914-1922)

Fabio Ecca
Roma, Viella, 288 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il tema del saggio è indubbiamente di grande interesse, alla confluenza di differenti
discipline, dalla storia politica alla storia delle istituzioni alla storia economica. Nella
narrazione prevale la dimensione istituzionale, tesa a mettere in luce il funzionamento
delle burocrazie ministeriali – in particolare il Sottosegretariato, poi Ministero delle armi
e munizioni – costituite per affrontare le urgenze e le necessità impellenti della mobilitazione
bellica e ad analizzare specificamente le cause dei «lucri di guerra», già rilevate da
diverse altre ricerche (si pensi ai lavori di Caracciolo, Segreto, Tomassini), ma non oggetto
di un’analisi di dettaglio, come quella proposta dall’a.
La ricerca d’archivio è pregevole e documenta in modo molto chiaro come alla base
degli elevatissimi sovra profitti di guerra vi sia stato un impasto di urgenza, scarsi controlli,
legislazione confusa, disorganizzazione e trascuratezza nell’organizzazione amministrativa
e nella gestione contabile. L’obiettivo dell’efficienza, cioè di rifornire rapidamente il fronte
e di sostenere anche la nascita di industrie tecnologicamente avanzate, come l’aeronautica,
alla quale viene dedicata un’ampia sezione del volume, mise in secondo piano il sistema
di controlli sui contratti con le imprese, che poterono sfruttare condizioni ottimali per
accrescere considerevolmente i profitti, al di là di quelli ottenibili in condizioni di mercato
normali. Da qui il fenomeno dei «pescecani di guerra», che in un clima politico come
quello del primo dopoguerra, già lacerato dalle contrapposizioni sociali, divenne un tema
rilevante del dibattito politico, un tema di giustizia sociale affrontato con l’istituzione di
una speciale Commissione parlamentare d’inchiesta, proposta da Giolitti, che avrebbe
dovuto contribuire a riordinare l’organizzazione statale, impostando nuovi rapporti tra
Stato e impresa. L’a. dedica molte pagine alle vicende della Commissione che pur con
tempi ridotti e una dotazione di risorse insufficiente riuscì a far emergere vari casi particolarmente
significativi, come il caso della fornitura dei Caproni Ca.5 da 600 Hp: a fronte
di 200 milioni anticipati, il 28 per cento della commessa, le imprese interessate consegnarono
appena il 3 per cento dei 4015 aeroplani ordinati. Peraltro la Commissione non poté
completare i lavori, estremamente complessi e delicati, perché nel nuovo clima politico
segnato dall’ascesa del fascismo si decise di interromperne bruscamente l’attività.
Qualche limite nel lavoro è riscontrabile nella scarsa attenzione nel dare profondità
storica al rapporto Stato-impresa. In fondo durante la Grande guerra si ripropongono,
estremizzate, pratiche affermatesi perlomeno dagli anni ’80 che avevano creato in una
parte del mondo imprenditoriale aspettative di intervento dello Stato sia sotto forma di
salvataggi che di commesse. Al di là degli accenti moralistici, i «lucri di guerra» sembrano
le degenerazioni macroscopiche di uno specifico modello d’interazione Stato-impresa,
radicato nelle fasi costitutive dello Stato nazionale.

Roberto Tolaini