Anno di pubblicazione: 2008
Sulle circa duecentoquaranta pagine lungo le quali si stende il racconto tendenzialmente divulgativo ma preciso e informato di Ludwig Steindorff, domina la storia contemporanea, con circa centosessanta pagine. Per il pubblico italiano di storici e lettori di storia i capitoli su «etnogenesi», medioevo e prima età moderna, sono tuttavia utili a seguire gli sviluppi, i dibattiti e i contrasti politici più recenti, per comprendere il ricorso continuo al passato e ai simboli che contraddistinguono le competizioni otto-novecentesche per l’affermazione delle diverse entità politiche locali in quest’area di cerniera e di interazione pacifica e conflittuale tra Europa centrale, Mediterraneo e Sudest europeo. La pluralità dei confini e la tendenza a irrigidirli e la caratteristica «compresenza di diversità» (p. 253) sono elementi di continuità nella storia di questo paese, come sottolinea nella postfazione al volume Egidio Iveti?, uno dei maggiori esperti di questioni adriatiche e jugoslave nel nostro paese. Il saggio di Iveti? stimola alla riflessione, problematizzando la materia affrontata nel volume e chiarendo il capovolgimento di prospettiva storiografica che l’indipendenza e la guerra recente hanno comportato, anche fuori dall’area ex Jugoslava. Il libro di Steindorff si discosta da una storiografia nazionale (croata, ma non solo) che tende ad operare una nuova «visione selettiva del proprio passato al fine di legittimare il proprio presente» (p. 255). Tuttavia, l’a. adotta una prospettiva che parte dal punto di vista croato, seppure non in maniera acritica, nella scelta e descrizione di fenomeni, avvenimenti e questioni, sia in casi come l’urbanizzazione di Zagabria, il ruolo di Ragusa/Dubrovnik, l’uso e significato del glagolitico nella storia e simbologia nazionali, le rivolte contadine e la formazione dei partiti dal compromesso ungaro-croato del 1868, sia quando tratta la «Primavera croata» del 1968-72 (con pochi riferimenti ai movimenti politici coevi in Jugoslavia), l’illirismo più dello jugoslavismo, l’accordo serbo-croato sulla federalizzazione asimmetrica della Jugoslavia del 1939 (Sporazum), più di quello tra i partiti serbi e croati del 1905. Inoltre, approfondisce alcune figure croate di cesura rispetto alla storia comune jugoslava come gli Zrinski e i Frankopani, Stjepan Radi? e Andrija Hebrang, rispetto a quelle di sintesi come i fondatori dell’Accademia jugoslava a Zagabria Strossmayer e Ra?ki, i leader del Comitato Jugoslavo Trumbi? e Supilo o lo stesso Tito, mentre discute poco dello scrittore Krle?a e non menziona lo jugoslavo di famiglia croata Andri?, anche se diversi e puntuali sono gli approfondimenti sulla Bosnia-Erzegovina. Nel trattare le insurrezioni dell’agosto 1990 dei serbi in Krajina (la «Balvan revolucija») invece di indugiare sulle ragioni della protesta, l’a. mette in risalto gli slogan «questa è Serbia» risuonati durante le celebrazioni a Knin del seicentesimo anniversario della battaglia di Kosovo Polje (p. 227). Ciononostante, il tono e lo spirito del racconto sono distaccati e la sintesi efficace e utile, specie a un pubblico più avvezzo alle letture jugoslaviste.