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Luigi Barzini. Una storia italiana

Simona Colarizi
Venezia, Marsilio, 220 pp., € 16,50

Anno di pubblicazione: 2017

In un libro dal rigoroso impianto scientifico che si legge come un romanzo, l’a. ricostruisce la vita professionale e familiare di un’icona del giornalismo italiano, esordendo dall’epilogo: il suicido, il 6 settembre 1947. Era il suggello di un triste crepuscolo, di un uomo ma anche di una generazione, nata liberale, che si era scoperta fervente nazionalista e poi si era consegnata al fascismo per seguirne fino in fondo la parabola.
Del Barzini giornalista l’a. scandaglia la stagione dei trionfi: l’ingresso al «Corriere» di Albertini, il soggiorno a Londra, i viaggi in tutti i continenti e su tutti i fronti di guerra, l’ascesa al trono di re del reportage, divo per i lettori di inizio secolo avidi di esotismo. E delinea i tratti del suo stile, così moderno rispetto alla tradizione del nostro giornalismo: scorrevole, incisivo, impressionista, cesellato, scevro di ridondanze, parco nell’aggettivazione, denso di fatti vissuti e cose viste, ricco di colore, frutto di un meticoloso lavoro preparatorio. Tanto talento è coniugato all’indifferenza per la politica, così come per i valori e la grammatica del libeFederazione, rinvenibile nel variegato mondo dell’associazionismo i cui tratti di fondo erano l’anticlericalismo, molto diffuso in Toscana, l’intransigenza verso la competizione elettorale e la scarsa penetrazione nelle campagne.
Nel volume, una riedizione, cui sono state apportate modifiche, di uno studio condotto nel 1997, vengono quindi sottolineati i momenti più importanti che portarono alla nascita di una struttura organizzativa dai caratteri ben definiti e la progressiva costruzione di una stabile base elettorale in regione. Oltre agli aspetti organizzativi e politici, l’a. dedica una notevole attenzione alla stampa socialista, alla propaganda e al finanziamento, rendendo questo studio molto approfondito e completo.
Tra i tanti spunti interessanti offerti dal volume, a nostro avviso, merita di essere citato il fatto che il Partito socialista, in Toscana, si sviluppò soprattutto nei centri urbani, mentre in campagna la penetrazione fu resa complicata dal sistema mezzadrile. Infatti, agli occhi dei socialisti di fine ’800, i mezzadri rappresentavano una classe privilegiata. Si tratta di un aspetto importante visto che, negli anni successivi, e soprattutto in epoca repubblicana, l’ambiente della mezzadria rappresentò l’asse portante dell’affermazione delle sinistre, in particolare quella comunista, in regione.
Il volume è arricchito da una valida Appendice in cui compaiono gli elenchi delle associazioni che diedero vita alla Federazione, i risultati elettorali della Toscana, gli statuti e altri documenti. Inoltre, viene riproposta l’Introduzione che Gaetano Arfè scrisse in occasione della prima edizione del 1997, utile a inserire il libro nel giusto contesto storiografico. Infatti, il volume qui recensito rappresenta un esempio di come la storiografia sui partiti politici abbia affrontato le mutazioni degli anni ’90 riformulando le basi teoriche e metodologiche della storia dei partiti.
Achille Conti
Simona Colarizi, Luigi Barzini. Una storia italiana, Venezia, Marsilio, 220 pp., € 16,50
In un libro dal rigoroso impianto scientifico che si legge come un romanzo, l’a. ricostruisce la vita professionale e familiare di un’icona del giornalismo italiano, esordendo dall’epilogo: il suicido, il 6 settembre 1947. Era il suggello di un triste crepuscolo, di un uomo ma anche di una generazione, nata liberale, che si era scoperta fervente nazionalista e poi si era consegnata al fascismo per seguirne fino in fondo la parabola.
Del Barzini giornalista l’a. scandaglia la stagione dei trionfi: l’ingresso al «Corriere» di Albertini, il soggiorno a Londra, i viaggi in tutti i continenti e su tutti i fronti di guerra, l’ascesa al trono di re del reportage, divo per i lettori di inizio secolo avidi di esotismo. E delinea i tratti del suo stile, così moderno rispetto alla tradizione del nostro giornalismo: scorrevole, incisivo, impressionista, cesellato, scevro di ridondanze, parco nell’aggettivazione, denso di fatti vissuti e cose viste, ricco di colore, frutto di un meticoloso lavoro preparatorio. Tanto talento è coniugato all’indifferenza per la politica, così come per i valori e la grammatica del liberalismo: una disposizione conformista che spiega la sconcertante assenza – tanto più sconcertante in un professionista del mondo dell’informazione – di paradigmi interpretativi in grado, al di là di una pur notevole capacità di osservazione, di decifrare i passaggi cruciali della storia del paese e il senso dei processi che segnano il cuore del ’900. La leggerezza stessa della sua prosa appare corrotta dalle venature di esaltazione patriottica che colorano le corrispondenze dalla Libia, mortificate dalla censura: primo momento di snodo, per Barzini come per tutta la stampa italiana, preludio al più grave, quello della Grande guerra, che segnerà l’inizio del declino della sua stella e dei rapporti con Albertini.
Il libro segue Barzini negli Stati Uniti tra 1921 e 1931, alle prese con la sfortunata impresa di un nuovo giornale e senz’altro pronto ad aderire al fascismo, anzi al mussolinismo, quindi al suo ritorno in Italia, nella breve avventura alla direzione del «Mattino» e poi al lavoro come corrispondente del «Popolo d’Italia», quando tenta di rispolverare i fasti di un tempo suonando solerte nell’«orchestra» del regime.
L’a. sceglie di non esibire i ferri del mestiere dello storico e di lasciar parlare – attingendo alla copiosa corrispondenza – Barzini: non solo, crediamo, per sposare un format accattivante, assai congeniale al genere biografico, ma per essere più libera di penetrare, quasi da entomologo, la materia opaca e apparentemente informe di un’ideologia, o forse, meglio, di una antropologia medio e piccolo borghese in cui galleggiano amor di patria, dell’ordine, del benessere, e, attraverso la lente della vicenda di Barzini, affondare il bisturi nel ventre molle di una larga parte della intellighenzia – tra cui tanti giornalisti di regime – e della società del tempo, permeabile, per incoscienza e opportunismo, alle avventure più irresponsabili, come avviene nei momenti di slabbratura del tessuto di connessione tra governati e governanti: una «vita italiana», appunto.

Irene Piazzoni