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Luigi Carlo Farini. Statista liberale

Sandro Rogari (a cura di)
Ravenna, Longo, 117 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2018

Esito del convegno dedicato a Lugi Carlo Farini, a 150 anni dalla sua scomparsa, il volume ripercorre per tappe i momenti cruciali di un protagonista, importante quanto forse ancor troppo poco conosciuto, del processo risorgimentale. Benché sia eccessivo definire l’attività politica di Farini con l’impegnativo termine di statista, non foss’altro perché egli non fece in tempo a misurarsi con i grandi problemi dello Stato che aveva contribuito a fondare, appare tuttavia opportuno rilevare il ruolo cruciale da lui avuto nel concitato biennio 1859-1860, quando Farini, grazie a un’azione ferma ed energica, intel- ligente in quanto sorretta da una solida cultura, riuscì nel compito di dipanare l’intricato nodo dell’annessione delle province dell’Italia centrale allo Stato sabaudo.
Il volume è quindi una biografia attenta e puntuale, che ricostruisce le ragioni delle scelte compiute quale politico e come amministratore, ma che è pure in grado di appro- fondire la ricerca sul versante della storia personale e professionale, delle vicende fami- gliari e della formazione intellettuale e politica. In quest’ultimo senso sono interessanti, in quanto abili nel fondere gli aspetti più personali con le meglio conosciute attività pub- bliche, i saggi di Donatella Lippi e di Claudia Giuliani, rispettivamente dedicati alla sua attività quale medico e alla sua corrispondenza con la madre Marianna. È però al Farini politico che, necessariamente, va il fuoco dell’attenzione. Seguendo un piano cronologico classico Angelo Varni si sofferma quindi sul profilo politico e intellettuale del giovane Farini, capace di rappresentare un’intera generazione di notabili, lealisti nei confronti dei governi in carica eppure altrettanto fermamente convinti dell’inderogabile necessità per questi ultimi di trasformarsi nel segno del liberalismo. E il carattere paradigmatico di Fa- rini, in grado di dare conto di una sensibilità allora straordinariamente diffusa, specie nei territori sopposti all’autorità della Chiesa, lo si può scorgere anche laddove si sottolinea come pure il moto insurrezionale fosse da lui accettato, a patto però «che fosse “liberale” non solo negli obbiettivi costituzionali da raggiungere, ma anche nei mezzi usati» (p. 22).
Le fasi meno appariscenti della carriera politica di Farini – gli anni tra la Repubblica romana e l’esilio piemontese (Ester Capuzzo), il periodo passato a dirigere il Ministe- ro dell’Istruzione (Silvia Cavicchioli), quello in cui fu impegnato quale luogotenente di Cavour nel Mezzogiorno (Giustina Manica) e il triste finale da presidente del Consiglio (Alberto Malfitano) – sono approfondite con accuratezza, esattamente come avviene per il momento forse più luminoso della sua vita politica. Scrive a questo proposito Roberto Balzani che Farini, triangolando con abilità fra contesti locali, concerto continentale e opinione pubblica, riuscì nell’impresa di sconfiggere il municipalismo, predisponendo al contempo un terreno di atti pubblici e collettivi che ben difficilmente il concerto europeo avrebbe potuto superare. Su questo terreno, in questo particolare frangente, Farini si sa- rebbe dimostrato ottimo allievo del maestro Cavour.

Andrea Baravelli