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Luigi Musella – Il trasformismo – 2003

Luigi Musella
Bologna, Il Mulino, pp. 197, euro 12,00

Anno di pubblicazione: 2003

L’idea che la costruzione del ?grande centro? sia il sottile filo conduttore che lega tutta la storia politica italiana non è nuova: l’aveva, con una buona argomentazione, già formulata alcuni anni fa Antonio Cardini in un suo studio pubblicato per Lacaita nel 1996. La tesi, poi, che tutta la politica italiana sia ricomponibile sotto il segno del trasformismo, che già nel 1990 Giovanni Sabbatucci aveva lanciato in un articolo pubblicato sulla rivista «Il Mulino» dal titolo La soluzione trasformista, è stata ora riproposta dallo stesso autore nel suo libro Il trasformismo come sistema (Roma-Bari, Laterza, 2003). Luigi Musella, pubblicando, all’interno della collana ?L’identità italiana?, un volumetto sul trasformismo, sottolinea nuovamente una connotazione che è strutturale al nostro sistema politico, mai liberatosi dagli anatemi contro i partiti antisistema e costretto sempre a vivere in una logica dell’alternativa piuttosto che in quella, propria dei sistemi a democrazia compiuta, dell’alternanza.
È vero, chi lo negherebbe, che dal connubio di Cavour fino ai giorni nostri il sistema politico è stato costretto a ibride e fragili compattazioni al centro. Musella le ripercorre, con un tratteggio che, tuttavia, non sempre coglie felicemente il quadro degli avvenimenti all’interno dei quali le vicende del trasformismo si dipanano.
Alcuni dubbi suscita, ad esempio, l’affermazione secondo la quale stia nell’esistenza di due soli partiti ?la grandezza e prosperità a cui il parlamentarismo portò alcuni paesi? (p. 42) e si richiamano due casi: Spagna e Inghilterra come se il turnismo pacifico della Spagna, e tutta la sua gestione, encasillado e caciquismo compresi, fosse omologo nella sostanza alla dialettica del sistema britannico.
Anche l’immagine edulcorata di un Giolitti che propone il suffragio universale ?al fine di avviare in modo realistico ad una soluzione adeguata la questione sociale e di integrare il movimento operaio nello Stato? (p. 76) ignora totalmente i giochi di potere che stanno dietro a questa improvvisa scelta del navigato politico liberale di scavalcare a sinistra Luzzatti.
E veniamo poi alle linee con cui Musella disegna l’operato dei socialisti dopo le elezioni del 1919: da un lato, avvalorando la tesi di chi ha sempre sostenuto che non è esistito un riformismo socialista in Italia (Vivarelli), si afferma che i socialisti mirarono alla rivoluzione (p. 102), dall’altro se ne sottolineano l’incapacità d’azione e si prende a prestito da Mussolini la famosa frase ?il nullismo fuori e la cagnara dentro?, senza fare cenno al profondo travaglio in cui si dibatté il Partito, dal discorso di Treves sull’?espiazione?, al ?rifare l’Italia? di Turati.
Per concludere infine, un accenno a come Musella introduce il secondo dopoguerra. ?La pretesa monopolistica da parte di una fazione di rappresentare la sola idea di nazione e la scomunica dei perdenti come nemici di questa [?] portò di fatto a caratterizzare [?] l’Italia repubblicana come un regime a basi ristrette? (p. 121). Diverse sono le critiche con cui si può stigmatizzare la politica dell’esarchia ciellenista, ma definire questi partiti ?fazione?, rientra in una logica revisionista che non fa onore alla storia.

Maria Serena Piretti