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Luigi Tomba – Storia della Repubblica popolare cinese – 2002

Luigi Tomba
Milano, Bruno Mondadori, pp. 246, euro 12,90

Anno di pubblicazione: 2002

Come ricorda l’autore nelle prime pagine del libro, l’approccio alla storia cinese è stato a lungo dominato dal ruolo del partito comunista e dal suo rapporto funzionale con l’evoluzione economica, sociale e politica. Luigi Tomba privilegia invece l’analisi dello Stato, del rapporto tra Stato e mercato, e tra Stato e società perché è convinto che “la centralità del ruolo dello Stato possa superare la semplice cronologica contrapposizione tra maoismo e denghismo, tra socialismo reale e socialismo di mercato, per investigare come le istituzioni si sono rapportate allo sviluppo” (p. 7). Stato e sviluppo sono quindi le parole chiave che Tomba utilizza per interpretare mezzo secolo di storia cinese, dall’arrivo al potere del partito comunista nel 1949 alle riforme economiche di Deng fino all’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio nel dicembre 2001.
Dopo una rapida ricostruzione della Repubblica popolare cinese negli anni Cinquanta, dalla mobilitazione nelle campagne alla collettivizzazione accelerata, il libro passa ad analizzare gli anni di “fuga verso il comunismo, fuga dal comunismo” (p. 67) (1957-62) cioè dalla campagna dei Cento Fiori al Gran Balzo in avanti, e poi gli anni della “politica al potere” (p. 99) cioè il periodo della Rivoluzione culturale e delle sue conseguenze. Il periodo delle riforme economiche del dopo Mao, o “pragmatismo reale” (p. 141) come lo definisce Tomba, è analizzato sempre in un’ottica più attenta alla politica che all’economia, più interessata alle intenzioni strategiche di sviluppo che alle riforme economiche effettivamente realizzate. La tesi dell’autore è che uno “Stato sviluppista porti a una società frammentata” (p. 210) e che occorra trovare un nuovo patto sociale per far fronte ai processi di frammentazione. Forse si può condividere l’affermazione conclusiva di Tomba, per cui “i rischi di instabilità sociale sono tornati a turbare i sogni dei dirigenti del partito” (p. 214). Tuttavia, questa storia della Repubblica popolare cinese offre spunti di riflessione ma non entra nella descrizione documentata dei fatti. Forse questa mancanza è frutto della scelta dell’autore, che pur conoscendo bene la realtà cinese, non analizza dati economici, né si sofferma sugli effetti positivi delle riforme economiche nel ridurre la povertà, che si è più che dimezzata in vent’anni. Superficiale sembra infine l’analisi della dimensione internazionale, che dimentica di evidenziare come la Cina sia passata dall’isolamento del periodo maoista a un ruolo internazionale di potenza regionale.

Maria Weber