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L’uso «politico» del corpo femminile. La legge Merlin tra nostalgia, moralismo ed emancipazione

Liliosa Azara
Roma, Carocci, 155 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2017

Al non vasto panorama storiografico sulla questione prostituzionale, cui la stessa a. aveva già contribuito nel 1997 con un volume di più ampio respiro cronologico (Lo Stato Lenone. Il dibattito sulle case chiuse in Italia [1860-1958], Milano, Cens), si aggiunge ora questa ricerca dedicata al secondo dopoguerra italiano e, nello specifico, all’iter parlamentare della legge Merlin, nonché al vibrante dibattito che essa suscitò nell’opinione pubblica italiana. Quella battaglia abolizionista inevitabilmente coinvolse le grandi sfere ideali della cittadinanza democratica, delle relazioni di potere fra i generi e dei codici culturali in cui si iscrivevano teorie mediche (e in generale scientifiche), discorsi giuridici, tendenze antimoderniste e misogine, insieme a crescenti spinte al rinnovamento degli assetti sociali.
Ma un orizzonte misogino, in realtà, non era certo estraneo agli stessi progressisti, come ampiamente mostrò proprio quel dibattito; la legge, peraltro, poté essere promossa congiuntamente da democristiani e sinistre, durante il periodo più duro della guerra fredda, solo grazie a una palese riscrittura moralistica delle sue ragioni di fondo: «L’accordo […] con i cattolici, appare l’unica opzione capace di garantire il successo, ma a detrimento dei temi che richiamano l’emancipazione femminile e la dignità della persona» (p. 40). Una «grande trasformazione» socio-culturale era in effetti già alle soglie, e avrebbe assestato i primi colpi decisivi a un trionfante senso comune severamente patriarcale.
In questo volume l’a. ripercorre innanzitutto il percorso tormentato che compì fra il 1948 e il 1958 il disegno di legge Merlin, facendo uso di un’ampia raccolta di fonti parlamentari in parte inedite; richiama e anazza in profondità vari interventi di esponenti politici, giuristi, scienziati, religiosi e giornalisti; illustra le radici storiche dell’abolizionismo, anche in ambito internazionale; tratteggia con larghezza di esempi presi dai media quale fosse il clima culturale della società italiana dell’epoca, fra tenace moralismo e nuovi afflati libertari; ricostruisce, infine, lo stereotipo della «peccatrice» quale risulta dalla stampa, dalla letteratura (non solo nazionale) e dal cinema.
Questa ricca articolazione tematica costituisce sicuramente uno dei meriti della ricerca, anche perché, oltretutto, l’a. riesce efficacemente a connettere contesti geograficamente e cronologicamente diversi, e tutti rilevanti. Forse il filo rosso che unisce tali molteplici scenari sul piano interpretativo, tuttavia, avrebbe potuto essere meglio evidenziato in sede di esposizione. E magari avrebbe giovato maggiormente all’analisi, infine, anche un’elaborazione più approfondita delle rilevanze sul piano di genere di un simile scenario complessivo, particolarmente numerose su questi temi e in questo periodo storico: giacché quella della legge Merlin rappresentò una partita, con ogni evidenza, in cui ricadeva la più ampia posta in gioco di un mutamento epocale nelle relazioni di potere e libertà fra i generi.

Sandro Bellassai