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Lynn H. Nicholas – Bambini in guerra. I bambini europei nella rete nazista – 2007

Lynn H. Nicholas
Garzanti, Milano, 670 pp., Euro 34,00 (ed. or. New York, 2006)

Anno di pubblicazione: 2007

I bambini furono vittime del nazismo sotto molti punti di vista. Lo furono innanzitutto quelli tedeschi e «ariani» all’interno di un modello scolastico e pedagogico che il direttore della scuola americana a Berlino negli anni ’30 – autore di un fortunato reportage sul sistema scolastico nazista – definì «educazione alla morte». Una parte di essi, in quanto ritenuti inadeguati, fu inoltre vittima di una radicale politica eugenetica (su 70 mila furono 5 mila i bambini uccisi nella cosiddetta Operazione Eutanasia). Essenziale poi fu, nel disegno nazista, la più generale selezione razziale che significò, prima di tutto, espulsione e separazione. I bambini ebrei vennero cacciati dalle scuole, colpiti da innumerevoli divieti che incisero in profondità nella loro vita quotidiana, marchiati con la stella di David. Dalla persecuzione dei diritti si passò alla persecuzione delle vite. Quello che l’a., riprendendo la terminologia nazista, chiama «cattivo sangue» conobbe soprattutto i campi di sterminio, ma nel Nuovo Ordine di Hitler un posto non secondario lo rivestì anche il «buon sangue», ossia l’applicazione di diffuse politiche di germanizzazione che ebbero, nei confronti dei bambini, il vertice nell’Operazione Lebensborn.Tuttavia Nicholas ci ricorda – nella parte più nuova e interessante del volume – che quello in cui vissero i bambini di tutta Europa durante la guerra fu, più in generale, un cruel world, come recita il titolo originale del volume: costretti ad abbandonare la propria terra (come nel caso della Spagna dopo la Guerra civile) e a vivere in campi di internamento; sottoposti alla dura quotidianità dei bombardamenti, della fame, dello sfollamento; feriti in profondità dalla perdita di punti di riferimento e spesso di quelli essenziali come i genitori. Se gran parte di questi aspetti riguardò anche gli adulti, per i bambini essi costituirono i fattori di una formazione psicologica e materiale in quella che è la fase più delicata nella crescita di ogni persona, condizionandone per sempre i caratteri e i comportamenti. Molti di essi dovettero vivere nascosti per mesi, a volte per anni, spesso abbandonati dai genitori o perché deportati essi stessi oppure come strategia per salvargli la vita. Questa second wound – cioè l’abbandono forzato dopo la prima ferita della persecuzione – li avrebbe segnati per sempre.In questo libro – terribile nei contenuti ma che si legge con grande piacere, per la capacità dell’a. di coniugare i grandi quadri storici con le singole storie – dispiace solo che la prospettiva privilegiata sia stata quella degli adulti, delle scelte delle politiche naziste, dei colpevoli silenzi dei molti immobili spettatori, delle strategie dei salvatori (e questi furono tanti, come Nicholas ci ricorda, per esempio nel caso delle belle pagine dedicate ai Kindertrasporten verso la Gran Bretagna). Non sono gli occhi dei bambini, il loro mondo, il loro punto di vista a dominare queste pagine, e in tal senso il volume risulta assai meno convincente del precedente libro di Nicholas Stargardt (La guerra del bambini. Infanzia e vita quotidiana durante il nazismo, Milano, Mondadori, 2006).

Bruno Maida