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Manuel Vaquero Piñeiro – Il baco da seta in Umbria, XVIII-XX secolo – 2010

Manuel Vaquero Piñeiro
Napoli, Editoriale scientifica, 283 pp., Euro. 22,00

Anno di pubblicazione: 2010

Gelsi, bachi, filande: la via della seta, così importante in Italia, comincia da queste tre parole. Quanto vi ha partecipato l’Umbria? Limitatamente, risponde Vaquero, sulla base di una ricerca solida e ben articolata. Il momento della trasformazione della materia prima fu presto perduto: non si saldò in modo robusto e duraturo con la bachicoltura. A fine ‘700 i manufatti prodotti dalle città umbre erano svantaggiati rispetto alla concorrenza: troppo cari e di mediocre fattura. Deboli le iniziative imprenditoriali nel settore della filatura, in decadenza nel tardo ‘800. I gelsi invece, pur vincolati da caratteristiche pedologiche e climatiche spesso sfavorevoli, si diffusero nel XIX secolo: più foglia per il bestiame, più foglia per nutrire i bachi, più foglia da vendere. Un albero insomma soprattutto per il mercato. Pur senza poter quantificare il fenomeno, quei gelsi inframmezzati alla vite e all’ulivo sostennero un allevamento del baco che a metà ‘800 era fatto con sistemi i più intensivi ed efficaci per l’epoca e alla fine del secolo, nel contesto di una spinta modernizzatrice dell’attività, risulta che gli stabilimenti bacologici per la produzione industriale del seme erano in crescita, come in altre regioni. Un trend positivo fino all’irrimediabile crollo negli anni ’30 del ‘900.L’a. avverte più volte che il suo studio non può certo spostare la posizione dell’Umbria in una scala delle posizioni regionali nella storia dell’industrializzazione, che la presenza dei gelsi, pur diffusa, era assai inferiore a quella nelle similari Marche, che l’allevamento dei bozzoli aveva un limitato peso a livello nazionale. Qual è allora l’interesse del lavoro, oltre all’approfondimento filologicamente corretto di un aspetto poco studiato? L’interesse del lavoro è nel suo ragionare intorno alla capacità ricettiva dell’ambiente rurale umbro, già prima dell’unificazione, rispetto alle novità provenienti dalle aree come la Toscana o la Lombardia, più aperte agli influssi europei. Intorno al significato di una scelta culturale commerciale come segno di integrazione nei mercati nazionali, come contributo alla costruzione di una cornice economica di ambito regionale, come elemento non trascurabile del reddito colonico. Tutto questo indipendentemente dal peso dei valori assoluti o da trasformazioni radicali, che non ci furono, come si sa. Il fatto è, scrive giustamente l’a., che «le cifre e pure le opinioni non sempre devono essere presi per quello che apparentemente indicano» (p. 226). E la vicenda della bachicoltura potrebbe avere a che a fare con successivi cambiamenti novecenteschi, avendo comunque incrementato reti di scambio, trame mercantili, stock monetario. Il libro si presenta come una verifica empirica dei margini di flessibilità interni al sistema mezzadrile, un contributo in linea con molta storiografia toscana o marchigiana, ma piuttosto isolato nel caso umbro.

Giacomina Nenci