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Marcello Saija – I prefetti italiani nella crisi dello stato liberale – 2001

Marcello Saija
Milano, Giuffrè, pp. 468, euro 32,02

Anno di pubblicazione: 2001

Questo corposo volume raccoglie ricerche condotte da molti anni a questa parte. Dopo un primo capitolo in cui è analizzato il reclutamento del personale del Ministero dell’Interno tra il 1871 e il 1923, il discorso si incentra sul dopoguerra. Secondo l’autore, Nitti si trovò dinanzi alla duplice esigenza di un’inversione di tendenza rispetto alla linea giolittiana e di un uso nuovo della macchina amministrativa, al centro come in periferia. La scelta proporzionalista avrebbe dovuto rappresentare la chiave di volta di una modernizzazione del sistema politico attraverso il riconoscimento dei partiti di massa e il loro inserimento nello stato. Ciò avrebbe comportato un diverso ricorso all’articolazione prefettizia, chiamata a svolgere compiti di più raffinato raccordo col tentativo politico nittiano. Per raggiungere tale obiettivo Nitti si trovò però a dover muovere un apparato in gran parte ancora legato allo statista piemontese, che provò a rinnovare a partire dai centri di potere ministeriali. Egli non ebbe successo in questo tentativo per le condizioni di oggettiva difficoltà in cui si trovò ad operare, per il limite temporale del suo esperimento governativo, ma anche per la resistenza degli apparati centrali dello Stato, sorta di casta autonoma capace di condizionare scelte di indirizzo e prassi. Con il ritorno di Giolitti al potere si assiste al ripristino della condotta amministrativa e politica che individuava nei prefetti lo snodo tra linea governativa e sua applicazione nelle province. Tuttavia la legge elettorale proporzionalista e le elezioni dimostrarono l’impossibilità del ritorno, sic et simpliciter, a questa prassi consolidata. Il tentativo di Giolitti di normalizzare il fascismo all’interno dei blocchi nazionali fallì perché i prefetti erano stretti tra la manovra politica governativa tesa all’alleanza con il movimento fascista e la necessità di mantenere una legalità che per essere tale non poteva non reprimerne la violenza. È anche questa contraddizione a determinare uno sbandamento dell’apparato periferico del Ministero dell’Interno i cui uomini, legati spesso da solidarietà, sudditanza o devozione a personalità della politica e dell’alta amministrazione, tendevano ormai a conformarsi alle linee di tendenza percepite come predominanti. Cosicché nella fase finale della crisi del sistema liberale i tradizionali movimenti dei prefetti nelle province, piuttosto che segnare mutamenti di linea, hanno il tono di palliativi incapaci di mutare una rotta che si sarebbe conclusa con le convulse giornate dell’ottobre 1922.
Pur se ribadisce tesi storiografiche ampiamente percorse dalla letteratura sul fascismo delle origini, il volume non è privo di interesse in quanto segue dall’interno le trasformazioni e l’evoluzione dell’apparato prefettizio. Lo studio, tuttavia, avrebbe dovuto essere corroborato da più puntuali riferimenti alla storiografia locale e nazionale che ha ampliato e affinato la conoscenza di questo cruciale periodo. La scelta di troncare la ricerca al 1922, inoltre, non aiuta a cogliere la torsione che il fascismo al potere impone al sistema prefettizio dalla marcia su Roma al 1927.

Luigi Ponziani