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Marco Di Giovanni – Scienza e potenza. Miti della guerra moderna, istituzioni scientifiche e politica di massa nell’Italia fascista. 1935-1945 – 2005

Marco Di Giovanni
Torino, Zamorani, pp. 308, euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2005

La scienza-tecnica è stata spesso utilizzata come elemento fondante di diverse ideologie: la modernizzazione di cui si fa portatrice, infatti, può essere sostenuta anche in contesti che possono avere poco a che fare con una sua declinazione ?progressista?. Ciò si può constatare esaminando la transizione fra l’ideologia scientifica ottocentesca e quella del nascente nazionalismo europeo a cavallo fra Otto e Novecento, che troverà alcuni esiti prima nella Grande guerra e, per l’Italia, nel bricolage culturale del periodo fascista. Gli storici della scienza che hanno affrontato tale questione sono spesso partiti da casi di studio limitati, sebbene rilevanti, manifestando ? salvo eccezioni ? difficoltà a collocare quei casi all’interno delle dinamiche istituzionali e culturali del fascismo, spesso troppo semplificate. A loro volta, però, gli storici contemporaneisti hanno sottostimato l’incidenza che nelle comunità scientifiche può avere la loro dinamica interna, che coinvolge anche i ?contenuti? delle loro ricerche. Lo studio di Marco Di Giovanni, sebbene non si addentri negli specifici disciplinari, riesce tuttavia a dare un’immagine assolutamente convincente del processo di coagulazione della nuova idea dei rapporti fra scienza e nazione tipica della modernizzazione fascista, esaminato da un punto di vista che si potrebbe definire mitopoietico. Una storia sociale e politica, ma anche della cultura e della mentalità. Lo spartiacque è la nazionalizzazione delle risorse e delle competenze avviata nella Grande guerra, nonché l’emergenza di un personale scientifico ?nuovo?, immerso in un ?spirito del tempo? diverso da quello liberale. Un esempio per tutti: come giustamente afferma Di Giovanni, nel fascismo si afferma e si consolida il mito nazionalista degli scienziati italiani ?poveri e geniali?, ?precursori? (spesso incompresi) di tante scoperte. Mito che trasfigura l’arretratezza relativa delle strutture di ricerca italiane in una sorta di ideologia del ?grand’uomo? (anch’essa però di origine ottocentesca). Ma il ceto scientifico-politico liberale aveva, al contrario, pienissima coscienza di quell’arretratezza, che denunciava aspramente, vedendo nella scarsità delle risorse investite nella scienza un grave handicap, strutturale e culturale (e che la Grande guerra rivelerà in tutta la sua portata). Non solo: poco si è messo in rilievo ? anche in questo libro, per la verità ? che sono stati gli scienziati ?patrioti? che avevano partecipato da protagonisti al Risorgimento, a chiamare in Italia alcuni importanti ricercatori stranieri, provenienti dai centri europei più avanzati. Inoltre, prima e durante la Grande guerra, gli scienziati italiani si erano sempre contraddistinti ? al contrario di quelli del periodo postbellico e fascista ? per il loro equilibrio e un senso di equanimità di fronte ai più agguerriti nazionalismi culturali delle altre comunità scientifiche europee, soprattutto francesi e tedesche. Ben altro ?spirito?, dunque, rispetto a quello così ben descritto da Di Giovanni.

Antonio Di Meo