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Marco Gervasoni – Le armi di Orfeo. Musica, identità nazionali e religioni politiche nell’Europa del 900 – 2002

Marco Gervasoni
Milano, La Nuova Italia, pp. 275, euro 23,00

Anno di pubblicazione: 2002

Il volume tenta di dimostrare lo statuto della musica come fonte, e nel contempo ne ipotizza giustamente l’uso per una lettura della storia contemporanea che non dimentichi la natura anche narrativa (di cui la fonte musicale è un esempio) del discorso storico.
Nel momento in cui però si focalizza sulla musica, che definisce “testimone delle rappresentazioni sociali” (p. 12), non convince. Dopo aver indicato le nuove risorse cui attingere (il soggetto di un’opera; il libretto, il linguaggio proprio del discorso musicale), affianca queste osservazioni utili ad altre che riportano ad un discorso generico e già noto sulle fonti: la trattazione finisce così per assumere la forma di un generico saggio sulla metodologia della ricerca. C’è bisogno di spiegare che, è opportuno ricorrere alla documentazione d’appoggio per cogliere la reazione del pubblico? E basta questo per risolvere l’annoso problema della ricezione dell’evento musicale?
Molto più interessante, perché è un tema storiograficamente sottovalutato, il discorso che l’autore imposta sul rapporto tra musica e storia dei corpi: nel suo caso, però, l’uso della categoria corpi sembra limitato all’interesse per la rappresentazione sociale degli eventi e alla funzione dei corpi (di spettatori, musicisti, compositori) all’interno di tale rappresentazione. Manca per esempio la dimensione della danza, centrale nella lettura della musica di Stravinskij, (v’è un accenno a p. 73). Perché non interrogarsi invece sul corpo in movimento, sulla coreografia come fonte narrativa di nuovissima tipologia?
Ed è peculiare che, raccontando il corpo che si fa musica, Gervasoni ignori, soprattutto per il secondo dopoguerra, l’apporto dato dal Jazz, dal bebop, ma soprattutto dal free jazz, ad una nuova concezione del rapporto musica/strumento/rumore/ricezione. Non era negli intenti iniziali (che volevano limitarsi ad operistica, lirica, sinfonica); ma è l’autore stesso, volendo parlare di corpi, che ci porta ad avvertire la mancanza dell’esperimento sincopato come chiave di lettura della modernità.
Necessario, ma troppo sbrigativo, è il paragrafo dedicato ai mezzi di riproduzione tecnica della musica, che sottolinea la trasformazione delle forme di ascolto, ma non ci dice a quale domanda storiografica esse danno risposta: la trasformazione del gusto? La nascita di nuovi consumi? Le forme di sociabilità e i loro mutamenti, prima e dopo la riproducibilità tecnica, non possono essere la sola (e ormai consueta) risposta.
Si deduce nel contempo una notevole competenza in campo musicale, con splendide pagine sulla musica contemporanea (una rottura nel rapporto con l’ascolto, con l’orizzonte di attesa, con la dicotomia suono/rumore), di cui però non è illustrato il possibile uso ai fini della ricerca.
La seconda parte del volume (che, di sole cento pagine, dà inopinatamente il titolo all’intero libro), vuole esemplificare invece la connessione fra religioni politiche, miti della nazione e uso della musica: l’autore riesce ad inanellare esempi che potrebbero essere il fulcro per nuove e plurime ricerche. Ma sono solo abbozzi, data l’esiguità dello spazio dedicato al tema, e finiscono per apparire come un semplice digesto di autori ed opere, con rapidi accenni alle politiche istituzionali rivolte alla musica. Il tema purtroppo non risulta svolto.

Simona Urso