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Maria Antonella Cocchiara – Istituzioni giudiziarie e amministrazione della giustizia nella Sicilia borbonica – 2004

Maria Antonella Cocchiara
Milano, Giuffré, pp. 354, euro 55,00

Anno di pubblicazione: 2004

La Sicilia del 1811-13 vive una contraddittoria stagione di sperimentazione costituzionale, condizionata dall’aspra dialettica tra la Corona e la classe baronale, dalla presenza degli inglesi ? tutori della monarchia in esilio e portatori di un modello parlamentare che il baronato interpreta in senso cetuale ?, nonché dalle vicende che si svolgono nella parte continentale del Regno.
In questo quadro, dopo aver concesso, su imposizione inglese, la Carta costituzionale, Ferdinando di Borbone affida al causidico Salesio Emmanuele l’incarico di scrivere un codice di procedura civile. Il libro ce ne propone la pubblicazione integrale, preceduta da un ampio inquadramento storico e da tre testi settecenteschi, la Prattica del rito del Regno di Sicilia del 1776, il Saggio sopra la legislazione di Sicilia di Francesco Paolo de Blasi, del 1790, la Consulta della Giunta dei presidenti e consultore, del 1727. Il primo testo viene utilizzato come termine di paragone per misurare la maturità della cultura giuridica siciliana nel passaggio alla codificazione moderna; gli altri due sono una testimonianza delle istanze di riforma avanzate da quella stessa cultura nel XVIII secolo.
La priorità attribuita alla codificazione del processo, piuttosto che a quella del diritto sostanziale, era stata una caratteristica del riformismo settecentesco, dall’Austria teresiana alla Prussia fridericiana. Riformare il processo ? quello civile, in primo luogo ? significa intervenire nel gioco delle parti tra giudici ed avvocati (un gioco alquanto ambiguo, considerata l’interscambiabilità dei ruoli in un sistema dove era di norma il passaggio dall’una all’altra funzione); significa, soprattutto, tecnicizzare le procedure, sottrarle alla creatività giurisprudenziale, ed infine disciplinare la funzione giudiziaria in senso burocratico. Restano invece in secondo piano, nel progetto riformistico dell’assolutismo, le istanze di fruibilità e pubblicità del diritto sostanziale.
Una volta affrontati i nodi storici della codificazione processualistica ? dalla posizione del giudice rispetto alle parti, all’alternativa tra il principio della prova legale e del libero convincimento del giudice ?, si entra nel vivo della vicenda siciliana, attraverso la lettura del testo di Emmanuele. Affidato ad un tecnico piuttosto che ad un giurista togato, il progetto non ebbe alcun rilievo politico, tanto da non essere neppure discusso in Parlamento. Al di là della reale portata, l’autrice ne analizza gli aspetti che sembrano indicare ?una più o meno consapevole transizione a istituzioni giudiziarie coerenti con certi rinnovati assetti costituzionali? (p. 308).
Una transizione del tutto irrealizzabile, in un contesto nel quale gli assetti costituzionali erano ben lontani dall’essere realmente modificati; così il progetto, privo di respiro politico innovatore, si limita ad interventi di dettaglio e resta ancorato alla tradizione rappresentata dalla Prattica settecentesca, pur concedendosi riferimenti episodici alla coeva codificazione napoleonica.

Carolina Castellano