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Maria Casalini – Famiglie comuniste. Ideologie e vita quotidiana nell’Italia degli anni Cinquanta – 2010

Maria Casalini
Bologna, il Mulino, 333 pp., Euro 26,00

Anno di pubblicazione: 2010

Con l’accumularsi di nuove ricerche, la tradizionale immagine di una moralità comunista tetragona e monolitica è andata decisamente ridimensionandosi, anche in riferimento a un decennio – gli anni ’50 – che da sempre ha consegnato alla memoria comune un «partito nuovo» politicamente uniforme. La ricerca di Casalini aggiunge ulteriori e preziose indicazioni per una ridefinizione interpretativa della cultura politica del Pci in senso più complesso e articolato: e non è certo un caso che tali indicazioni giungano da indagini che guardano principalmente alle interrelazioni fra il Partito «di massa e di quadri» e una società italiana attraversata da profonde tensioni e mutamenti culturali.Dedicata a un tema importante e originale, l’«uso pubblico della famiglia» (p. 28) nel discorso comunista e non solo (dato che prende ampiamente in considerazione anche l’Udi, ben più – soprattutto dopo il 1956 – che una «cinghia di trasmissione» del Partito), la ricerca si fonda su autobiografie di militanti, memorie edite, interviste inedite, inchieste dell’epoca, documenti ufficiali del Pci, ma soprattutto sullo spoglio di importanti periodici quali «Vie Nuove» e «Noi donne». Proprio il settimanale dell’Udi, che gioca qui un ruolo fondamentale anche per la scelta di declinare ampiamente il tema dell’analisi in chiave di genere, si mostra come osservatorio fra i più sensibili nei confronti dei nuovi temi che assurgono al dibattito nei secondi anni ’50: il divorzio, gli anticoncezionali, la questione generazionale, i consumi privati e pubblici.Le famiglie comuniste che danno il titolo al volume sono declinate al plurale perché molteplici sono le immagini che il discorso comunista produce: c’è una famiglia da difendere in quanto cellula della futura umanità; una famiglia più ampia – il Partito – che prevale su quella «privata»; una famiglia da emendare, infine, quanto alla necessità di educare in modo sano le nuove generazioni (un tema cui l’a. dedica pagine ampie e ricche di spunti). Il quadro finale si mostra non solo complesso, non solo plurale, ma decisamente ambiguo: un testo canonico come le memorie di Marina Sereni, per citare un esempio fra i più significativi, oscilla fra apoteosi della famiglia comunista (in quanto nucleo di solidarietà anche politica) e suo svuotamento a vantaggio del «collettivo», dimensione aurea di cui individui, coppie, famiglie non dovrebbero essere altro che molecole costitutive.Come non manca di osservare l’a., una simile ambiguità dice molto non solo di certe dinamiche ideologiche, ma anche di genere. Il potente modello del «rivoluzionario di professione», ad esempio, sebbene a rigore non valga solo per gli uomini, è di fatto forgiato a misura di una mentalità maschile che – molto al di là della collocazione ideologica, come ad esempio è evidente anche nelle culture fasciste – concepisce la famiglia come freno alla vocazione cosmica della virilità. All’opposto, da parte di molte comuniste si riscontra una critica anche sorprendentemente precisa di questi e altri aspetti della mascolinità classica, fino a prefigurare una vera e propria «spaccatura di genere» (p. 32): di cui, significativamente, non rimarrà memoria negli anni successivi.

Sandro Bellassai