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Maria Grazia Meriggi – Gli operai della Dalmine e il loro sindacato. Momenti della pratica sindacale della Fiom in una ?zona bianca? – 2002

Maria Grazia Meriggi
Bergamo, Il Filo d’Arianna, pp. 175, euro 10,00

Anno di pubblicazione: 2002

Il volume si propone di indagare le dinamiche sindacali all’interno dello stabilimento siderurgico della Dalmine in un arco temporale assai ampio (dagli anni Venti agli anni Ottanta), ricercando i nessi con le realtà politiche e comunitarie consolidatesi attorno alla fabbrica. Il primo capitolo si apre con la vicenda dello ?sciopero produttivo? del 1919 in cui, nell’attivismo di un sindacalismo di ispirazione nazionalista che trovò subito una sponda in Mussolini, sono ravvisabili i sintomi di quella ?deriva corporativa di massa? che quasi settant’anni più tardi avrebbe connotato, insieme all’area dalminese, una larga parte del nord Italia. Il secondo capitolo affronta i nodi della rappresentanza sindacale nel grande stabilimento siderurgico durante gli anni Cinquanta, non mancando di sottolineare gli elementi di arretramento sociale che ne caratterizzarono gli sviluppi: il mancato sostegno al Consiglio di gestione, il progressivo svuotamento di ruolo della commissione interna, il favore concesso dai lavoratori alla linea sindacale della CISL, caratterizzata da uno spiccato collateralismo nei confronti delle politiche aziendali. In una fabbrica in cui il rinnovamento generazionale degli addetti era assai lento, in cui le forme della sociabilità erano regolate da meccanismi altri rispetto ai rapporti di produzione, in cui lo stesso dogma produttivistico sposato dalla CGIL si rivelava funzionale a soddisfare le richieste corporative della base operaia a scapito delle istanze connesse alla crescita della democrazia sindacale, non mancarono gli episodi di segno contrario: dallo svilupparsi di un’esperienza politica d’avanguardia quale quella azionista alla vicenda dell’autogestione dell’impianto nell’ambito della vertenza sul premio di produzione nel 1954. Nel terzo capitolo emergono le forme nuove del conflitto sviluppate negli anni Sessanta e Settanta, in cui l’esasperazione della base operaia nei confronti di un’organizzazione del lavoro percepita come oppressiva trovava sfogo in manifestazioni di protesta inedite: contro il sistema delle qualifiche, contro la ?monetizzazione? della salute, contro le gerarchie sindacali territoriali, incapaci di cogliere le istanze di rinnovamento provenienti dalla fabbrica. Ne emerge un quadro fortemente segnato dalle spinte all’egualitarismo dei nuovi rappresentanti ?dal basso? dei lavoratori (i delegati). Attraverso il rapporto con il territorio, nel quarto e ultimo capitolo, si cerca di collegare i risultati elettorali degli anni Novanta con i residui delle culture operaie, sottolineando il risorgere di valori tipicamente locali come la fatica, l’orgoglio dello sforzo e dell’autosufficienza, che nell’area in questione non erano mai stati sopiti. Chiude il volume un’ampia appendice in cui sono riportate le interviste fatte in due occasioni a ex operai e militanti sindacali, in cui l’autrice gioca esplicitamente un ruolo di ?sollecitatore? della memoria. Ed è proprio l’utilizzo delle fonti orali il merito principale del libro, tale da illuminare alcuni passaggi cruciali della vicenda sindacale alla Dalmine. I ?luoghi della memoria? che emergono nelle interviste sono il risultato delle esperienze personali che si incontrano, a posteriori, con il vissuto sociale e politico della comunità di fabbrica, divenendo così memoria condivisa, collettiva, sociale.

Ferruccio Ricciardi