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Maria Luisa Di Felice – Terra e lavoro: uomini e istituzioni nell’esperienza della riforma agraria in Sardegna (1950-1962) – 2005

Maria Luisa Di Felice
Roma, Carocci-Fondazione Antonio Segni, pp. 348, euro 27,60

Anno di pubblicazione: 2005

L’autrice, anche grazie a una consolidata esperienza nel settore archivistico, prosegue le proprie ricerche nell’ambito della storia dell’agricoltura sarda, privilegiando una pagina essenziale della vicenda socio-politica ed economica, regionale e nazionale. L’argomento, se non intonso, attendeva una ricostruzione autorevole. Di Felice con questo lavoro pone un punto fermo, grazie a un puntuale esame delle fonti e delle pubblicazioni scientifiche che giacciono presso le raccolte documentarie dell’Ente isolano ? l’EFTAS poi ERSAT ? cui spesso rimandano l’apparato di note e l’appendice tassonomica che sciorina geografie, costi e risorse. Fra i protagonisti magna pars spetta ad Antonio Segni (1891-1972), politico sassarese che ?sulla scorta dell’esempio europeo? indicò nella piccola proprietà coltivatrice il meccanismo propulsore della ?nuova? economia rurale italiana (p. 74). Di più: con Fanfani egli rappresentò due fasi nell’orientamento generale della DC che ebbero effetto decisivo sull’andamento del programma agrario nazionale (p. 79). Di Felice condivide l’altrui giudizio dato che appare ?indubbio che si debba parlare di una riforma incompiuta, ostacolata nel suo percorso che l’avrebbe dovuta condurre alla revisione dei contratti agrari e alla riforma generale? (p. 81). Non a caso un capitolo fondamentale del saggio è dedicato al rapporto tra le rivendicazioni per la terra e l’approvazione della cosiddetta «legge stralcio»: proprio a partire dal 1945, i temi della riforma fondiaria diventarono centrali anche per i dirigenti comunisti sardi, che prima s’impegnarono per l’applicazione dei decreti Gullo e della legge stralcio, poi spostarono ?l’asse delle rivendicazioni dalla distribuzione perequativa delle terre al varo di un più generale programma per la rinascita economica e sociale dell’isola? (p. 89).
In questo clima di aspirazioni e utopie, competenze e politica s’intrecciano contraddittoriamente ed emerge la principale figura tecnica espressa dall’isola in quegli anni, quella appunto di Enzo Pampaloni (Firenze, 1911-1975), allievo di Mario Bandini, studioso di formazione cattolica, fiducioso che la trasformazione nelle tecniche e nel lavoro ? tanto auspicata e solo in parte raggiunta ? potesse oltrepassare i confini tracciati nelle aree di riforma (pp. 313 ss.).
Chiara perciò si conferma la frammentazione a macchia di leopardo dell’universo rurale isolano, tanto da consentire di sintetizzare la riforma negli indizi ancora limpidi che rimandano all’estensione delle zone irrigue, alla realizzazione delle infrastrutture, alla diffusione della meccanizzazione, fermi restando i dati che, difficile non accorgersene, si leggono nell’attivismo aziendale che caratterizza oggi i comprensori in cui la riforma ha proseguito l’opera della bonifica integrale (ad Arborea e nella Nurra) e che è frutto di un lungo lavoro di valorizzazione avviato otto decenni fa. Rammarica perciò il modesto investimento che nei trascorsi anni Sessanta si fece nell’ambito dell’ecoturismo, prerogativa che l’Ente sardo individuò e timidamente inserì nella propria missione aziendale e formativa (p. 315).

Giovanni Murru