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Maria Vittoria Adami – L’esercito di San Giacomo. Soldati e ufficiali ricoverati nel manicomio veronese (1915-1920) – 2007

Maria Vittoria Adami
Padova, Il Poligrafo, 284 pp., Euro 23,00

Anno di pubblicazione: 2007

A partire da un paziente e complesso scavo documentale, che ha toccato le cartelle cliniche dei ricoverati, Adami analizza le vicende dei militari degenti durante la Grande guerra presso il manicomio veronese di San Giacomo di Tomba. Le schede mediche offrono in tal senso uno spaccato della partecipazione degli italiani alla guerra, contenendo tanto le anamnesi dei ricoverati, quanto la corrispondenza del degente, della sua famiglia, delle istituzioni coinvolte. Basandosi sull’abbondante materiale documentario, l’a. ricostruisce e interpreta tali ricoveri, da annoverare nel più ampio spettro del rifiuto della Grande guerra: non a caso i punti di riferimento del volume sono i lavori di Leed e Gibelli, opportunamente scelti come chiavi investigative. Che si trattasse di un piccolo esercito, come recita il titolo, non ci sono dubbi: furono circa 800 i militari affetti da turbe e da «malattia» mentale che passarono nel manicomio di Verona, con gli esiti più disparati, talvolta la morte in ospedale, talvolta l’ottenimento del congedo e il ritorno, guariti, alle famiglie. Emerge con chiarezza come i militari rinchiusi a San Giacomo vivessero nella loro follia l’«impossibilità» della guerra di trincea, manifestando nelle loro alterazioni mentali (di cui sono fedele testimonianza le lettere e le anamnesi) l’inferno del conflitto bellico. Pervasi da deliri di persecuzione, scatenanti talvolta un misticismo religioso, i degenti esprimevano tutte le gamme di rifiuto della guerra, muovendosi attorno due poli antitetici di riferimento, quello della trincea e quello famigliare. Il ricco apparato documentale, riportato con intelligenza tanto nel testo che in appendice, consente al lettore di ricostruire la vita nel manicomio veronese, le turbe dei ricoverati, i desideri di ritorno ad una, ormai impossibile, normalità. L’a. investiga anche il rapporto tra autorità militari e psichiatria manicomiale, evidenziandone differenti obiettivi e pratiche. Per Adami la psichiatria manicomiale non aderì sic et simpliciter alle richieste dei comandi militari, anche perché si riconosceva in un distinto orizzonte concettuale. Tra le righe, gli psichiatri veronesi rimproveravano al Regio Esercito di non compiere un’adeguata selezione in sede di visita di leva, inondando le trincee di soggetti «tarati» e con malattie mentali latenti. Quello della predisposizione individuale alla follia, di cui la guerra non era che un fattore scatenante, diveniva così il Leitmotiv della diagnosi dei medici veronesi, saltando a piè pari tutta la discussione sulla possibile simulazione dei soldati, vera e propria ossessione dei comandi e dei medici militari. Sembra però eccessivo vedere uno scollamento così marcato tra direttive dell’esercito (per altro non così univoche) e operatori manicomiali i quali, in fin dei conti, aderivano allo stesso universo di valori. Per completare il quadro manca dunque nel volume il riferimento alla più aggiornata bibliografia sul tema dell’eugenetica prima e dopo la guerra (Cassata e Mantovani) indispensabile a collocare in un contesto più ampio le ambiguità dei medici manicomiali veronesi.

Massimo Moraglio