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Mario Avagliano (a cura di) – Generazione ribelle. Diari e lettere dal 1943 al 1945 – 2006

Mario Avagliano (a cura di)
Introduzione di Alessandro Portelli, Torino, Einaudi, XXXIII-448 pp., euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2006

Le tradizioni invecchiano e su di esse incombe la museificazione. Ogni esperienza porta iscritte le ragioni della propria obsolescenza e queste obbediscono sempre ad una legge tanto semplice quanto inappellabile: la vecchiaia e la morte dei sopravvissuti. Lo sa Ada Prospero Gobetti che nel 1956 paventa una Resistenza come una reliquia, buona a «impacchettarla con un bel cartellino per mandarla al museo». Parte da qui l’autore, ma in quel lontano passaggio del Diario partigiano coglie solo l’ammonimento del memorialista e non il segno di una difficoltà interna alla scrittura della memoria (p. XVII). Costantemente sospesa tra l’esortazione a non dimenticare e il timore inconfessato di un’esperienza che diventa passato.Il libro prende forma all’interno di questa tensione senza tuttavia che l’autore ne assuma consapevolmente la portata. A rigore la gran parte delle pagine raccolte in questo volume non sono memoria nel vero senso della parola. A parte i brani dei diari, si tratta per lo più di lettere a persone care. Nascono dal bisogno di tenere in vita i fili tenui della comunicazione degli affetti, spesso dalla semplice premura di dare notizia di sé in una situazione eccezionale e di minaccia fisica incombente. Diventano memoria nelle pubblicazioni ufficiali, postume (agli eventi e spesso alla vita stessa degli autori), che le incorporano come documenti, testi referenziali di un discorso celebrativo. Rispetto a queste pubblicazioni, l’antologia è una celebrazione delle celebrazioni. Non della Resistenza racconta dunque. Più precisamente dell’apparato istituzionale preposto alla conservazione e alla divulgazione della sua memoria: Generazione ribelle riflette il processo di costruzione di questo apparato e la sua pubblicazione è il tentativo di difenderne le ragioni in una fase in cui la storiografia sollecita una revisione radicale delle retoriche ufficiali del secondo dopoguerra e delle istituzioni in cui esse si sono incarnate. Per rispondervi Avagliano sceglie la via della pedagogia della Resistenza: la Resistenza si studia per non dimenticare, facendo così della «moralità nella Resistenza» il problema della morale della Resistenza. Sistemarne la memoria è, ancora una volta, non tanto comprenderne la vicenda storica ma approntare il suo lascito per le generazioni future. «Ai giovani» (no global e vagamente guevaristi) il libro occhieggia fin dalla copertina, con la fotografia e soprattutto con il titolo carico di ambiguità. Vale la pena segnalare a questo proposito che nelle lettere e nei brani di diario, «ribelle» compare spesso come appropriazione polemica di una definizione denigratoria. È l’ uso metalinguistico di un insulto più che l’elogio della disobbedienza.Va anzi sottolineato come al centro di questi scritti vi siano salde virtù ottocentesche: il dovere, l’onore, la patria, il valore della testimonianza religiosa. Soprattutto la guerra, da combattere e da patire. Giusta anche quando fa strage dal cielo di cittadini inermi (p. 138). È questo scarto incolmabile tra noi e il nostro passato allora a fare della Resistenza untempo lontanissimo. Un passato morto, oggetto di studio certo. Non di riesumazioni celebrative.

Adolfo Scotto di Luzio