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Mario Casella – Anticlericali in Italia 1944-1947 – 2009

Mario Casella
Bologna, il Mulino, 164 pp., Euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2009

La conclusione di due studiosi di diversa formazione, Arturo Carlo Jemolo e Giorgio Candeloro, è divenuta un giudizio condiviso: l’anticlericalismo nella formazione dell’Italia democratica e repubblicana non ebbe grande rilievo. E nel marzo 1947 democristiani, comunisti e gran parte dei liberali conversero in favore dell’articolo 7 della Costituzione. Mario Casella, attento studioso del cattolicesimo, ritiene necessario rivisitare quel giudizio: «Se infatti si può parlare di una attenuazione (non di assenza!) dell’anticlericalismo [?], si ha motivo di ritenere che la tregua anticlericale di quel periodo riguardò i vertici di quelle forze politiche [?], non certo le rispettive basi, dove, non si sa se per autonome decisioni o per autorevoli riservate istruzioni, si condusse un’astiosa e insistente campagna contro papa, vescovi e sacerdoti, e più in generale contro la Chiesa (e la religione) cattolica (p. 11). I «laicisti» – dai liberali ai comunisti – formarono quindi «un comune fronte anticlericale» che non fu secondario nell’alimentare «nella gerarchia e nelle altre componenti ecclesiali un forte spirito di difesa e di crociata» (p. 12), pienamente manifestatosi nella campagna elettorale del 1948.A questo obiettivo rispondono quindi i due saggi che compongono il libro: Tendenze anticlericali e fermenti antireligiosi nell’Italia del 1944-1946. Echi e reazioni nel mondo cattolico; La campagna anticlericale del 1946-’47 nella documentazione dell’Archivio Centrale dello Stato.Il primo, come del resto è enunciato nel titolo, utilizza essenzialmente fonti di parte cattolica, specie i quotidiani, fondamento della ricostruzione delle posizioni dei «laicisti». L’interesse del saggio è in un obiettivo che l’a. non si pone: conferma l’osservazione di Pietro Scoppola ne La repubblica dei partiti: il passaggio alla democrazia pluralistica non era stata per alcuna cultura politica, ma soprattutto per quelle di massa, indolore rispetto ai fondamenti di ciascuna e alla loro difesa. I toni erano accesi dopo la ventennale dittatura. Ciò vale, però, anche per i cattolici organizzati, sovente assai aspri e indisponibili a riconoscere il valore dell’altro, sicché, non è che un esempio, il vescovo di Fiesole Giovanni Giorgis apostrofava i minatori della Val d’Arno, presumibilmente aderenti alla sinistra, come una «moltitudine di traviati» (p. 20). La Chiesa, dopo la cattività seguita all’unificazione nazionale e la riconciliazione del 1929, si trovava anch’essa a operare in un non auspicato mare aperto nel quale, oltretutto, operava una religione politica ben strutturata, il comunismo, aderire al quale proprio per questa ragione era, scriveva Federico Alessandrini, «far atto di apostasia» (p. 69).Il secondo, che utilizza carte di prefetti e questori, propone una geografia dell’anticlericalismo in Italia, a partire dai circoli raccolti intorno alla rivista «Don Basilio». Il caso di Vezza d’Alba citato da Casella induce ad assumere con molta cautela le informazioni dei prefetti: la richiesta di «energici provvedimenti» contro gli anticlericali non avveniva certo per una loro indigena forza: la Dc alla Costituente vi aveva raccolto l’81 per cento dei voti.

Paolo Soddu