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Mario Iaquinta – Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo – 2002

Mario Iaquinta
Pellegrini, Cosenza, pp. 239, euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2002

La tesi dell’autore è che l’emigrazione di massa dal Sud non è frutto di atavica arretratezza, ma l’inevitabile esito del ?colonialismo? sabaudo. Sarebbe anzi imprescindibile prerequisito di uno sviluppo politicamente orientato e privilegiante il blocco agrario-industriale del Nord. I complici di tale progetto sono individuati nei ceti proprietari meridionali, tanto gretti e feroci quanto sprovvisti di capacità imprenditoriale. In definitiva, ?i continui e progressivi flussi migratori meridionali, nei vari periodi, hanno corrisposto esattamente a un incremento del divario tra il Sud e il Nord del paese, e viceversa? (p. 14). Le stesse cospicue rimesse sarebbero servite a finanziare uno sviluppo esogeno, senza intaccare le strutture di proprietà e di potere.
La conseguenza più grave è proprio la costruzione dell’arretratezza e l’aumento del divario con le parti più fortunate del paese, fino a oggi. L’emigrazione di massa, infatti, potrebbe assimilarsi a certe dinamiche odierne, sostituendo al rapporto asimmetrico tra città e campagna in età precapitalistica quello tra aree planetarie deboli e forti, e alla piccola borghesia accaparratrice il ?blocco di governo dell’economia mondiale? (p. 53). Secondo Iaquinta una grave responsabilità pesa anche su uno Stato presente solo in veste di esattore e giustiziere. Sul piano istituzionale tale miopia (come dimostrerebbe la repressione della protesta popolare equiparata tout court al brigantaggio) avrebbe avuto pesanti e durature conseguenze: ?Il popolo non dimentica facilmente il volto di chi ha odiato e ucciso ingiustamente i suoi figli? (p. 68). Ma Iaquinta non risparmia sindacati e partiti di sinistra, troppo a lungo oscillanti tra teorizzazioni ondivaghe e deboli e una altrettanto debole difesa degli emigrati, condotta per lo più al seguito delle locali organizzazioni di categoria, spesso discriminatorie e xenofobe.
L’analisi, pervasa da forte pulsione etica, risente di un meridionalismo di vecchio stampo. L’accusa rivolta agli storici di distrazione nei confronti di un tale fenomeno epocale, non tiene conto della produzione storica e antropologica dell’ultimo ventennio, che ha affrontato il problema da prospettive innovative. Più che opera storiografica, il testo di Iaquinta è dunque un pamphlet in cui sono riproposti talvolta stereotipi mai realmente messi in discussione (per esempio, se l’emigrazione genera sottosviluppo, come è riuscito il Nord-Est a diventare in pochi decenni un’area ricca e di attrazione di manodopera? l’accento sul diverso ruolo delle istituzioni locali, proposto dall’autore, per quanto vero, appare riduttivo). Ma Iaquinta è soprattutto un pedagogista e il suo intento è a un tempo divulgativo e politico, mirando alla riscossa di un Sud dai mille problemi irrisolti. Egli ci invita a tener desta la memoria, non come mero omaggio alle vittime dell’esodo, ma per dare il posto che merita a un fenomeno su cui si è fondato lo sviluppo dell’intero paese: ?sarebbe psicologicamente utile per i nostri ragazzi ? scrive ? dare più spazio a questa vicenda e far conoscere i drammi, le sofferenze, la tremenda precarietà in cui i nostri padri hanno vissuto? (p. 209), e li aiuterebbe ad affrontare il paradosso di un’Italia divenuta, a sua volta, luogo d’immigrazione.

Giovanni Raffaele