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Marlene e Leni. Seduzione, cinema e politica

Gian Enrico Rusconi
Milano, Feltrinelli, 206 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2013

Raramente nella storiografia italiana si assume con decisione il peso del cinema all’interno della ricostruzione della storia. Il volume di Rusconi, invece, percorre questa strada fino in fondo, procedendo in maniera decisa, andando oltre una riproposizione pura e semplice della categoria di fascinating Fascism. In questo libro di impostazione brechtiana – nel primo capitolo viene sintetizzato l’essenziale dello svolgimento – in realtà le protagoniste non sono Leni Riefenstahl e Marlene Dietrich, ma la Germania e la sua cultura. Anche perché queste due importantissime figure del ’900, come scrive Rusconi, incarnarono un modello (o più modelli nel caso della Dietrich) di donna tedesca. In questo quadro, Leni e Marlene si stagliano come il prodotto di una cultura non univoca, ma ricchissima, come quella di Weimar e del suo modello di «donna moderna» sulla quale, nelle sue diverse accezioni, l’a. scrive delle pagine di grande fascino e interesse. Il libro segue con attenzione e senso del racconto le biografie delle due cineaste, nell’intreccio di eros, arte, professionalità e politica. Due vite contrassegnate da molti incroci e intrecci: la scuola di Reinhardt e, soprattutto, il cinema di Weimar, di cui la Riefenstahl fu una figura di spicco molto più della Dietrich, almeno fino all’Angelo azzurro, che consacrerà la seconda come una star di livello mondiale.
Il personaggio Dietrich – modellato anche fisicamente da Von Sternberg, che gli fece asportare anche alcuni denti per disegnarne diversamente il profilo – anticonformista e controverso dal punto di vista del costume, trovò il suo limite nelle regole dello star system che forzò, spostò più in avanti ma, in definitiva, non violò. Anche il contesto hollywoodiano viene assunto nel libro non in modo piatto, ma mettendo in luce anche gli spazi di libertà e di creatività che esistevano, pur all’interno di un sistema che si strutturava come un’industria. Rifiutando le letture femministe della Dietrich, Rusconi sostiene che Marlene non si pose mai il problema dell’emancipazione: propose un modello femminile nuovo, ma non eversivo.
Malgrado il suo percorso nel regime nazista, la Riefenstahl fu, per Rusconi, molto di più una «donna moderna» nel senso weimariano, in primo luogo perché si affermò come un’artista autonoma, come regista, fatto inedito nel cinema dei quegli anni. L’autrice del Trionfo della volontà cercò, attraverso l’estetizzazione della tecnica, di superare il contrasto convenzionale tra la Kultur e la Zivilisation. Conciliò la moderna tecnica con le tematiche völkisch nei «film di montagna», che tanto piacquero a Hitler e a Goebbels, e poi con la propaganda del regime nazista. Anche la figura della Riefenstahl, quindi, è vista alla luce del suo rapporto con la Germania, nel suo incrocio tra la componente innovativa, progressiva, emancipativa, anche trasgressiva, e una invece tradizionalista, regressiva e repressiva. La Riefenstahl utilizzò gli strumenti propri della modernità, che rimandavano dunque alla prima componente, ma per lanciare messaggi e proporre visioni che riportavano fortemente alla seconda.

Ermanno Taviani