Cerca

Massimo Biagioni – Achtung! Banditen! L’eccidio di Pievecchia a Pontassieve – 2008

Massimo Biagioni
Firenze, Polistampa, 214 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2008

8 giugno 1944. Festa del Corpus Domini. Nel tardo pomeriggio, i partigiani del Monte Giovi effettuano con successo un’incursione alla caserma della Gnr di Pontassieve. Asportano armi e altro materiale. Nel tornare verso il monte, alcuni patrioti transitano per il paese di Pievecchia. Qualcuno, forse un’anziana, li avverte che nella «bettola» ci sono due soldati tedeschi. Stanno bevendo e giocando a carte. I resistenti gettano una bomba nel locale. Uccidono un civile e un soldato. Il commilitone fugge a Pontassieve a dare l’allarme. Si comincia subito a cannoneggiare verso Pievecchia. Poi va in scena la rappresaglia. Una trentina di militari rastrellano il paese. Trovano molti abitanti nascosti nelle cantine della locale Villa Tesei. Donne e bambini sono incolonnati verso Pontassieve. Diversi uomini sono deportati in Germania. In dodici, trovati privi di documenti, sono fucilati per rappresaglia. Un altro è bruciato vivo. L’incendio di alcune abitazioni e dei pagliai contorna il massacro e il saccheggio del paese.L’a., pubblicista appassionato di storia, ricostruisce con attenzione una delle oltre 200 stragi di civili compiute dai soldati tedeschi che hanno combattuto in Toscana tra 1943 e 1945. Le carte dell’Archivio storico comunale di Pontassieve, quelle dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana e soprattutto il Liber Chronicus redatto dai sacerdoti succedutisi a Pievecchia (in particolare la parte scritta da don Ferruccio Biffoli, fino al 1950) sono le fonti che l’a. incrocia con una serie di testimonianze orali raccolte nella comunità locale, riuscendo così da ottenere una ricostruzione credibile di questo crimine di guerra, ma anche a tratteggiare i contorni di una delle molte «piccole patrie» toscane che resistono alla violenza nazista non solo con la presenza dei partigiani ma anche grazie al rinsaldarsi dei legami e di un forte spirito comunitario, e a restituire il dolore dei familiari e dei sopravvissuti.Il lavoro non convince però sino in fondo. Al di là di qualche cedimento nel linguaggio (in un libro di storia non si dovrebbe mai parlare di «belve tedesche»), il libro difetta di un quadro storiografico di riferimento, per cui parlando della strage di Pievecchia si toccano in modo superficiale alcuni dei nodi più rilevanti e problematici che può incontrare chi si occupa di stragi naziste. Così, non troviamo cenni sulla «soggettività» dei «giovani in pantaloni corti» che gettano la bomba nel bar del paese, un gesto che viene descritto ma non spiegato (Ci sono motivi politici? O è solo il frutto dell’euforia che pervade moltissimi resistenti nei 10-15 giorni successivi alla liberazione di Roma quando, per esempio, avvengono anche le rappresaglie di Forno e Niccioleta, entrambe del 13 giugno? Come reagiscono i comandanti partigiani?), e anche la precisa ricostruzione di ciò che accade dopo il 1945, quando l’a. usa abilmente la narrazione di don Biffoli e del suo successore come «controcanto» rispetto alla liturgia e alla retorica ufficiale delle commemorazioni, lascia intravedere una possibile «memoria divisa», tipica delle comunità martiri della violenza nazista, che però non viene sondata appieno.

Gianluca Fulvetti