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Massimo Storchi – Sangue al bosco del Lupo. Partigiani che uccidono partigiani. La storia di ?Azor? – 2005

Massimo Storchi
Reggio Emilia, Aliberti, pp. 204, euro 15,90

Anno di pubblicazione: 2005

Negli ultimi anni gli storici della Resistenza si stanno dirigendo verso il recupero di figure rimosse dai primi lavori storiografici degli anni ’60. Le vicende di questi partigiani dimenticati hanno in comune l’ancor più tragica fine di essere stati uccisi da altri partigiani.
Storchi ricostruisce il caso del partigiano cattolico Mario Simonazzi ?Azor?, ucciso nella montagna reggiana alla fine di marzo del 1945 da partigiani comunisti. Il fatto si sviluppa all’interno di una trama complessa che rimane ? come ammette onestamente l’autore ? ?ancora, per troppi versi, sospesa e indefinita? (p. 174). L’impossibilità di recuperare gli atti processuali ha impedito una più compiuta definizione degli scenari, per quanto i due gradi di giudizio processuale ? avviati all’inizio degli anni ’50 ? abbiano seguito piste diverse sul movente pur arrivando all’individuazione di un colpevole. Il libro nasce per lottare contro il silenzio e la rimozione della figura di Simonazzi, un organizzatore del movimento di Resistenza che nel gennaio del 1945 viene nominato vicecomandante della 76a brigata che opera nella prima collina reggiana. Non un partigiano comune, ma una figura di rilievo, la cui misteriosa fine ? consumatasi all’interno del movimento di Resistenza ? ha avuto l’effetto di rimuoverne la menzione dai testi di memorie e persino dalla consistente opera di Guerrino Franzini sulla storia della Resistenza reggiana apparsa nel 1966. L’autore mostra come Simonazzi divenga vittima di colpevoli silenzi, sia da parte di chi poteva aiutare a far luce sulla sua eliminazione, sia da parte dell’ANPI, custode ufficiale della memoria e per diversi decenni anche della storiografia resistenziale. I silenzi però ? come risulta dallo spoglio della pubblicistica resistenziale ? riguardano lo stesso versante cattolico al quale Simonazzi apparteneva. Il valore di questo testo è quello di rimettere in circolazione una vicenda, ora non più eludibile, che, come nella migliore tradizione storiografica, apre problemi, offrendo interrogativi non scontati. Si chiede infatti l’autore, a proposito del pamphlet di don Wilson Pignagoli Reggio bandiera rossa, apparso nel 1961 (un testo che ambisce a denunciare gli orrori del comunismo in terra reggiana), come mai, nonostante le vicende belliche restino un facile terreno di scontro tra PCI e DC nel reggiano, anche da questo testo così polemico la vicenda di Simonazzi rimanga ignorata (p. 127). O, ancora, perché nell’agosto del 1945 il diretto superiore di Simonazzi ? Ettore Barchi ?Pezzi? ? pubblichi un reticente articolo sulla fine del suo compagno su «Il Volontario della libertà» ignorando la richiesta di Giovanni Dossetti di fare luce sul caso (p. 98). La seconda parte del testo, che ragiona sui silenzi del dopoguerra, mi pare efficace anche se l’autore decide di non approfondire i contorni di un’altra morte strettamente collegata a quella di Simonazzi. Si tratta della fine del partigiano Giorgio Morelli ?Il Solitario? che, tra la fine del 1945 e l’inizio del 1946, sul giornale partigiano «La Nuova penna» aveva pubblicato, rompendo il muro del silenzio, tre circostanziati articoli ? degni del miglior giornalismo d’inchiesta ? sulla fine di Simonazzi, indicando nomi e testimoni.

Mirco Dondi