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Matteo Di Figlia – Alfredo Cucco, storia di un federale – 2007

Matteo Di Figlia
Palermo, Mediterranea, 264 pp., s.i.p. (versione elettronica: http://www.storiam

Anno di pubblicazione: 2007

Matteo Di Figlia, dottore di ricerca in storia dell’Europa mediterranea e neo ricercatore presso l’Università di Palermo, ha svolto vari studi sul fascismo radicale (di cui Alfredo Cucco fu il maggiore esponente in Sicilia) e sul suo leader, Roberto Farinacci, a cui il giovane storico ha dedicato lo scorso anno un interessante lavoro (Farinacci, il radicalismo fascista al potere, Roma, Donzelli, 2007). Le scarne notizie sopra riportate sono frutto di una nostra veloce indagine sul web, poiché il volume edito per la casa editrice Mediterranea non contiene alcuna informazione sull’autore né la canonica sintesi in quarta di copertina. Su Cucco poco era stato scritto sino ad oggi: esistono, a quanto ci risulta, solo una modesta autobiografia (Non volevamo perdere, Bologna, Cappelli, 1949) e un non eccelso lavoro di Giuseppe Tricoli (Alfredo Cucco, Palermo, Isspe, 1968); al termine dello studio, in una appendice ricca e interessante, è poi riportato integralmente il testo de Il mio rogo, dattiloscritto inedito redatto nello stesso periodo di Non volevamo perdere, ma, rispetto a quello, incentrato sulle vicende della querelle giudiziaria tra gli anni ’20 e ’30, dovuta alle accuse di collusioni con la mafia. Di Figlia ha il pregio di indagare su un personaggio ancora poco conosciuto e sullo scenario che fece da sfondo alla sua agitata vita pubblica: una Sicilia in cui il fascismo, vissuto come fenomeno esogeno e tardivo, trovò appoggi ma sempre entusiasmo scarso ed evoluzione gattopardesca, assorbendo progressivamente i pochi pregi ed i numerosi difetti espressi sino ad allora da certa classe politica isolana. Cesare Mori, il «prefetto di ferro» che il duce inviò nell’isola per stroncare il fenomeno mafioso, dopo gli iniziali successi restò anch’esso vittima di questo micidiale meccanismo fatto di scabrose conoscenze e indicibili alleanze, che gli procurò la giubilazione e la nomina a senatore nel 1929, non senza strascichi che coinvolsero lo stesso Cucco, al quale le accuse di collusione mafiosa costarono l’espulsione dal PNF. Riammesso nel partito nel 1936, il medico palermitano conobbe una nuova stagione di protagonismo al momento della promulgazione delle leggi razziali, di cui fu acceso propagandista; seguì poi la parabola del fascismo più estremo fino a Salò, dove fu sottosegretario al Ministero della Cultura popolare. Unico appunto che si può fare al lavoro di Di Figlia è quello di non aver approfondito quest’ultima fase quanto il periodo 1920-1936. Non si può non rammaricarsene, visto il ruolo che il gerarca palermitano ebbe nel creare l’oscura organizzazione delle «guardie ai labari», embrione del fascismo clandestino nel Sud Italia. Interessanti, infine, le note sul ritorno in politica avvenuto nelle file del MSI, dove Alfredo Cucco militò, rappresentando anche in questo caso l’ala più «antipolitica», fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1968. Nel complesso ci troviamo di fronte a un lavoro ricco di elementi interessanti, che può dare spunti per compiere nuove indagini sugli uomini che furono la spina dorsale del regime nel Mezzogiorno d’Italia.

Andrea Rossi