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Matteo Di Figlia – Farinacci. Il radicalismo fascista al potere – 2007

Matteo Di Figlia
Roma, Donzelli, IX-260 pp., Euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2007

Nel volume dedicato a Roberto Farinacci, Matteo Di Figlia, giovane storico dell’Università di Palermo, analizza il legame tra il ras cremonese e l’intransigentismo fascista.L’intera vicenda politica del gerarca di Cremona è riletta in questa prospettiva. Formatosi alla scuola di Bissolati, Farinacci, convinto interventista nel 1915 al pari del suo maestro, è il creatore, nel primo dopoguerra, dello squadrismo cremonese, foraggiato dagli agrari locali, spaventati non solo dai successi dei socialisti ma anche dei popolari di Guido Miglioli. Il ricorso alla violenza contro il movimento contadino è individuato come il principale strumento del futuro ras per scardinare gli equilibri politici della sua città, emarginando gli esponenti del conservatorismo più tradizionale. Proprio in virtù della propensione alla forza contro il movimento sindacale, rosso e bianco, Farinacci diventa una delle figure più importanti della Bassa padana, assurgendo a riferimento delle istanze più radicali del primo fascismo. Salito al potere Mussolini, il gerarca lombardo non cessa infatti di invocare con veemenza lo scatenamento di una «seconda ondata», costruendo la propria personale retorica politica di un fascismo radicale e intransigente, nemico di ogni accomodamento con gli oppositori del regime ma anche con i suoi simpatizzanti dell’ultima ora. Presentatosi per questa via come il campione dell’ala più dura del PNF, il ras di Cremona viene chiamato nel 1925, dopo il delitto Matteotti, a guidare il partito. Forte di tale posizione amplia il suo network affaristico, consolidando i legami, inizialmente solo locali, con il mondo economico e finanziario. Da questo momento in avanti, seguendo la scia di Salvatore Lupo, autore dell’Introduzione al libro, Di Figlia analizza con maestria lo svilupparsi della retorica farinacciana, il cui sempre rivendicato radicalismo diventa, specie dopo l’abbandono forzato della segreteria nel 1926, il modo per guerreggiare, a colpi di denunce e materiali scandalistici, con gli altri gerarchi del regime, in un gioco di intrecci sempre più fitti tra cordate politiche e potentati economici.L’intransigentismo di Farinacci e il suo affarismo appaiono, altresì, due facce distinte, ma inseparabili di un’unica medaglia, alimentando l’uno lo sviluppo dell’altro. E a tale gioco non si sottraggono neppure le posizioni filo-naziste e antisemite dell’ultimo Farinacci, sempre salvatosi dalle purghe del duce grazie al proprio ruolo di custode dell’anima «rivoluzionaria» del fascismo a cui, in fin dei conti, neanche Mussolini poteva rinunciare senza tradire pulsioni fortemente presenti nel PNF. Sulla specifica cultura politica di questa parte del fascismo il volume però poco ci dice. Avendo Di Figlia privilegiato del discorso pubblico la sua natura di retorica funzionale agli scontri di potere, gli aspetti più strettamente collegati alla dimensione teorica e ideologica della politica restano decisamente in secondo piano, facendo sparire dalla ricerca alcune questioni cruciali quali la natura totalitaria del regime e la fascistizzazione della società italiana, vale a dire gli obiettivi finali perseguiti dal radicalismo fascista.

Tommaso Baris