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Mauro Campus – Gli Stati Uniti, il piano Marshall e l’Italia – 2008

Mauro Campus
prefazione di Ennio Di Nolfo, Bari-Roma, Laterza, XXXI-218 pp., euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2008

L’ambizione di fornire una sintesi innovativa e persino alternativa al dibattito attuale sul piano Marshall in Italia condiziona negativamente l’esito di questa ricerca. Eppure Campus dimostra qualità di scrittura, fornisce una aggiornata bibliografia ragionata, e si avvale di fonti prima solo parzialmente disponibili, come quelle della Banca d’Italia. L’a. marginalizza una generazione di studi sull’Italia e l’Europa postbellica (Harper, Ellwood, Romero, Ranieri, Del Pero, ecc.), a cui accenna in sede di conclusioni come «lodevoli eccezioni» di un dibattito, con cui ritiene di doversi ancora confrontare, risalente agli anni ’60 e ’70 e centrato sulla questione dell’autonomia del governo italiano rispetto alla politica americana, il cui superamento è invece alla base della storiografia più innovativa da oltre venti anni. Questa si è concentrata sulle sfide inedite poste agli Stati europei dall’ordine mondiale postbellico, e sui vincoli che nascono, anche per la potenza egemone, dalla formazione consensuale di un blocco occidentale. Da lì derivano alcune semplificazioni dell’a. la cui tesi è, in sostanza, che ci fosse una convergenza di fondo tra Stati Uniti e Italia nella modernizzazione capitalista, le cui matrici affondavano negli anni ’20 e ’30, convergenza che la letteratura avrebbe trascurato per premesse ideologiche. In realtà si individua un terreno noto ma tutt’altro che lineare (come qui si rappresenta), e peraltro da approfondire per chiarire alcune radici delle scelte di modernizzazione durante l’Erp. Tuttavia Campus lo abbandona e circoscrive l’indagine all’immediato dopoguerra. L’analisi porta alcuni elementi nuovi nel primo dei tre capitoli, dedicato alla ricucitura dei legami tra Italia e Stati Uniti tra 1944 e 1947, in cui si ricostruisce l’accordo Lovett-Lombardo per il regolamento dei debiti italiani prebellici. Limiti e vari errori emergono nei capitoli 2 e 3 dove si ripercorre il funzionamento del piano Marshall nel 1948-49. Il libro si ferma inspiegabilmente al settembre 1949, mentre il piano Marshall durò fino alla fine del 1950. La scelta narrativa evita all’a. di misurarsi a fondo con la storiografia, ma lo induce a isolarne singoli giudizi rispetto a cui rivendicare una presunta originalità. Suggerimenti interessanti (sulla linea Pella, ad esempio) restano asseriti più che dimostrati. La lunga discussione sulla stabilizzazione einaudiana del ’47, sui meccanismi dell’Erp nel ’48, sul Country Study del ’49 e sulla periodizzazione dell’Erp è ripetitiva di cose note e in parte inficiata da incomprensioni dei meccanismi degli aiuti e da distorsioni delle ricerche dello scrivente, da cui l’a. prende le distanze ripetutamente salvo rivendicarne come proprie molte argomentazioni. Non vogliamo credere ad un travisamento malizioso ma ad un difetto di impostazione.L’a. non si avvede che cambiando la scala di analisi il suo impianto avrebbe richiesto altre mediazioni. Paradossalmente, nel suo piano Marshall non c’è spazio per i conflitti, né per gli effetti della guerra fredda. Attendiamo dall’a. quell’analisi transnazionale della produttività che avevamo qui sperato di trovare.

Carlo Spagnolo