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Mauro Fotia – Il liberalismo incompiuto. Mosca, Orlando, Romano tra pensiero europeo e cultura meridionale – 2001

Mauro Fotia
Milano, Guerini e Associati, pp. 260, euro 20,14

Anno di pubblicazione: 2001

La tesi della ?incompiutezza? del liberalismo italiano non è nuova, e va collegata a tesi presenti in altre storiografie (pensiamo a quelle sul fallimento del liberalismo tedesco o sulla debolezza del liberalismo francese). È però interessante investigarla non soltanto a partire da tre studiosi abbastanza diversi fra loro come Gaetano Mosca, Vittorio Emanuele Orlando e Santi Romano, ma dalla comune origine siciliana dei tre autori e dal comune terreno di formazione nell’Università palermitana di metà Ottocento.
L’autore ha scritto indubbiamente un libro stimolante e colto, ricco di attente letture della migliore produzione sui suoi autori e sul periodo storico in cui è toccato loro di vivere. La connessione esistente fra gli studiosi di cui si occupa sembra però derivare piuttosto dalla condivisione dei tormenti intellettuali dell’epoca storica in cui vissero che non dalla loro ?sicilianità?, per quanto con ciò non si voglia negare l’effervescenza di un contesto culturale di respiro europeo che ha sicuramente lasciato un’impronta in tutti. Fotia, che è un sociologo politico, conduce la sua lettura sul duplice piano delle due crisi del liberalismo, da un lato quella legata alla ?crisi dello stato moderno? (per riprendere un celebre testo di uno di loro) così come si è definita nel passaggio fra i due secoli, dall’altro lato quella che si manifesta nell’impossibilità per il liberalismo di mettere sotto tutela il movimento fascista.
Proprio su questo punto lo studio raggiunge i migliori risultati (senza nulla togliere all’altra parte, che è matura e ben scritta, ricchissima di stimoli per lo storico). Infatti tutti e tre gli autori di riferimento, pur così diversi nelle loro prospettive e nelle loro psicologie, condividono almeno per una prima cruciale fase il giudizio della ?dittatura? come male necessario per restaurare l’universo politico liberale. Ed è di fronte al fascismo che le loro strade si diversificano significativamente: Mosca ridotto praticamente al silenzio, poiché incapace di spiegare le nuove dinamiche politiche e soprattutto di immaginare vie d’uscita; Orlando chiuso in un suo Aventino dorato, ma convinto che prima o poi si potrà restaurare quel sistema sulla cui eterna validità continua a giurare (ed infatti sarà l’unico a poter svolgere un ruolo anche nella fase di avvento della Repubblica); Romano, convinto che il fascismo sia dominabile per via giuridica, attraverso l’imbrigliatura che gli scienziati del diritto possono mettere su una politica naive (un giudizio che si ricava molto più dai suoi atti di Presidente del Consiglio di Stato e dal contributo dei suoi allievi alla battaglia delle idee, che non dalle pronunce di un uomo che fu sempre schivo e parco di presenza sui palcoscenici della politica).
In definitiva il liberalismo italiano finisce per apparire più che ?incompiuto?, ?limitato?: troppo chiuso nella autoreferenzialità del mondo delle forme giuridiche, da cui poteva evadere verso la scienza politica solo con una lettura ?machiavellica? delle forze ideali e delle organizzazioni sociali, tale da impedirne l’inquadramento in forme nuove.

Paolo Pombeni