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Mezzi di educazione di massa. Saggi di storia della cultura materiale della scuola tra XIX e XX secolo

Juri Meda
Milano, FrancoAngeli, 205 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2016

In che modo un banco, un quaderno, un diario di scuola possono educare? Ce lo spiega, in quest’ultimo interessante lavoro, Juri Meda, ricercatore di Storia della pedagogia presso l’Università di Macerata, tra i principali esponenti in Italia di un ricco e promettente filone di studi sulla materialità didattica. Dopo una breve ma densa Introduzione, volta a definire il concetto di «mezzo di educazione di massa» come l’ampia gamma dei «sussidi didattici, [de]gli strumenti di scrittura e [de]gli articoli di cancelleria di vario genere prodotti da un certo momento in avanti su scala industriale e per questo opportunamente serializzati al fine di indurre una generalizzata omologazione dei metodi di insegnamento e dei processi di apprendimento, oltre a una uniformità dei contenuti educativi, in coincidenza del processo di massificazione dell’istruzione popolare» in corso a partire dal tardo ’800 (pp. 11-12), l’a. traccia anzitutto il quadro storiografico di riferimento. L’obiettivo è di prestare attenzione all’oggettistica didattica quale fonte singolare in grado di fornire, «se opportunamente rapportat[a] con le reali pratiche educative svolte in classe e con le abitudini in uso nelle scuole in una determinata epoca», «una ricostruzione storica ben più icca ed esaustiva di ciò che in quelle scuole accadeva» (p. 23). L’invito che ne deriva è quello di abbandonare tentazioni feticistiche (p. 36) nei confronti di tali «cimeli» per scorgerne «significazioni culturali e comprenderne le modalità d’impiego, le relazioni esistenti tra essi, gli attori del processo di apprendimento e le pratiche educative concretamente messe in atto» nelle aule, «così come la loro collocazione fisica negli spazi dedicati all’apprendimento» (p. 24).
Mentre il secondo capitolo, dedicato al banco, ricostruisce con maestria l’intreccio pedagogico tra obiettivi disciplinanti, funzione igienica ed evoluzione formale dello stesso, sulla scorta di un’ormai considerevole letteratura non solo nazionale, i successivi terzo e quarto capitolo, rispettivamente sul quaderno e sul diario di scuola, si soffermano piuttosto, con lo sguardo tipico del business historian, all’influsso esercitato dall’industria, oltre che dalla politica, sull’offerta didattica nelle scuole, specie nel periodo compreso tra la fine del XIX e il primo quarantennio del XX secolo. In tal senso, l’a. mostra, per entrambe le tipologie, la funzione didattica e quella mediatico-propagandistica (attraverso le copertine illustrate, ad esempio), quest’ultima intensificatasi con la sferzata ideologica fascista.
L’ultimo capitolo, cui seguono puntuali Appendici sulla produzione di arredi, quaderni, cancelleria e altro materiale didattico dall’Unità al secondo dopoguerra, apre nuove prospettive euristiche alla più generale storia dell’educazione, suggerendo nel contempo, tra le righe ma prepotentemente, fondamentali interrogativi sul profilo e sul destino di una disciplina, la storia della pedagogia appunto, dai confini labili, aperta al dialogo con altri saperi, eppure conscia – tale almeno dovrebbe sempre essere! – dei propri obiettivi di ricerca.

Matteo Morandi