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Michael Burleigh – In nome di Dio: religione, politica e totalitarismo da Hitler ad Al-Qaeda – 2007

Michael Burleigh
Milano, Rizzoli, 634 pp., Euro 24,00 (ed. or. New York, 2007)

Anno di pubblicazione: 2007

Burleigh è noto per i suoi studi sul Terzo Reich, in particolare Lo Stato razziale. È stato inoltre tra i fondatori della rivista «Totalitarian Movements and Political Religions». In nome di Dio è il secondo volume di una ambiziosa ricerca sulle «religioni politiche». Purtroppo, il progetto sembra aver perso l’originaria consistenza, e questo volume non è all’altezza del precedente. Com’era prevedibile, i capitoli sulla Germania hanno un’originalità e una freschezza non sempre evidenti in altre sezioni del libro. La descrizione della fioritura di culti e di profeti bizzarri e ciarlataneschi degli anni ’20 aiuta a capire l’atmosfera culturale che permise l’ascesa di Hitler. In Germania, il «bisogno di credere» prese forme particolarmente stravaganti, come dimostrano le pagine dedicate a figure come Haeusser, Muck-Lamberty o Dinter. Per l’a. tali fenomeni sono una spia del disorientamento creato dalla guerra, dalla sconfitta e dall’iperinflazione. Anche la difesa accorata dell’atteggiamento della Chiesa cattolica e della Santa Sede verso il nazismo, benché alquanto unilaterale, apporta elementi interessanti e poco noti, come il ruolo svolto da Pacelli nella preparazione dell’enciclica Mit brennender Sorge. Burleigh dimostra che l’idea di un Pacelli filofascista o antisemita è difficilmente sostenibile: anche nel caso della guerra civile spagnola, è convincente quando dimostra che la Santa Sede ha cercato di distanziarsi dall’adesione incondizionata della gerarchia spagnola alla causa nazionalista. Meno convincente è la difesa dei silenzi di Pio XII sull’Olocausto.Anche l’analisi degli aspetti religiosi del comunismo sovietico è in parte molto acuta. Il ruolo dell’«autocritica» come confessione, il racconto della lotta interna di un militante tra residui borghesi e mentalità rivoluzionaria, e l’analogia con gli Esercizi spirituali di Loyola danno concretezza all’idea della «religione politica» comunista. Burleigh non dà forse peso sufficiente ai nuovi elementi scientifici nel culto dell’«uomo sovietico», e sorprendentemente trascura gli scritti dei dissidenti. A parte la sezione sui rapporti tra Santa Sede e regime, la trattazione del fascismo italiano è superficiale e apporta pochi elementi nuovi. Non tiene conto ad esempio delle ricerche sulla «mistica fascista».Gli ultimi tre capitoli, che «si occupano delle prospettive future dell’Europa» appaiono più come un’occasione per sfogare i risentimenti contro il mondo moderno che come un’analisi storica fondata. L’a. scrive che i giornali inglesi lo «hanno incoraggiato a scrivere sul terrorismo islamico dopo l’11 settembre» (p. 14). Sarà interessante leggere il suo nuovo libro sul terrorismo, ma il capitolo su L’Europa dopo l’11 settembre in questo volume appare un frutto prematuro: basti dire che un esperto del peso di Kepel non è nemmeno citato. Né la critica del «deserto post-cristiano» (p. 11) degli anni ’60 dimostra particolare originalità. Salvo che nelle pagine sulle Chiese protestanti nella Germania dell’Est, Burleigh trascura l’importante filone religioso-politico del pacifismo. Non c’è alcun riferimento a Gandhi, come non c’era alcun accenno a Tolstoj nel primo volume.

Adrian Lyttelton