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Michael Schudson – Il buon cittadino. Una storia di vita civica americana – 2010

Michael Schudson
Soveria Mannelli, Rubbettino, pp. 465, Euro 25,00 (ed. or. New York, 1998)

Anno di pubblicazione: 2010

Pubblicato nel 1998, il libro di Schudson, sociologo e studioso di comunicazione, si pone l’obiettivo di dare un contributo al dibattito, piuttosto acceso negli Stati Uniti alla fine del secolo scorso, sul presunto declino della partecipazione politica e sull’indebolimento dei tradizionali valori e legami civici propri della società americana, denunciato, nel 1995, da Bowling Alone di Robert Putnam. A tale fine, ripercorre le vicende storiche della cittadinanza statunitense individuando una serie di scansioni e di modelli interpretativi, per far comprendere come nel corso della storia americana si siano succedute varie definizioni di «buon cittadino». Il modello coloniale, basato sul riconoscimento della gerarchia sociale, del principio di deferenza lasciò il posto, a partire dagli anni ’20 dell’800 a quello proprio di una democrazia di massa, che vedeva la cittadinanza come espressione di una presenza di maschi adulti, per lo più bianchi, nella sfera pubblica attraverso i partiti politici e l’esercizio del voto, da una parte, e l’adesione a una molteplicità di associazioni civiche e di volontariato, dall’altra. Era la democrazia descritta da Tocqueville, tumultuosa e «volgare», che, alla fine dell’800, venne fortemente criticata da intellettuali e politici riformisti intenti a promuovere un diverso modello di cittadinanza – basato sull’ideale del «cittadino informato» e consapevole – portato avanti con riforme elettorali che dovevano far risaltare la «qualità» del suffragio. Un modello di cittadinanza che, con rinnovate esclusioni, marginalizzava il partito a favore di nuovi attori, come i gruppi di interesse, più capaci di interagire con le nuove strutture amministrative create a livello statale e federale. Per arrivare, infine, agli anni ’60 e ’70, quando la cosiddetta «rivoluzione dei diritti», a partire dalle lotte del movimento per i diritti civili contro la segregazione razziale, non solo ampliò la sfera pubblica, ma contribuì a riarticolare le modalità di partecipazione socio-politica. All’interno di questo contesto, poi, si produsse quella che il politologo Hugh Heclo definì «nazionalizzazione» delle politiche pubbliche promosse dai movimenti sociali che vedevano nel governo federale un alleato, pur con l’eccezione del movimento contro la guerra in Vietnam. Proprio la rivoluzione dei diritti favorì un diverso esercizio dei diritti di cittadinanza che non necessariamente si esprimeva con il voto e neppure nei tradizionali luoghi della sfera politica, come dimostravano, politicizzando la sfera personale, donne e minoranze. È questa la parte forse più interessante, oggi, del libro di Schudson, soprattutto se la si confronta con l’odierno dibattito provocato dalla reazione anti-governativa di movimenti come il Tea Party. L’intuizione, infine, di una nuova modalità, quella del «cittadino-monitor», impegnato più a controllare che a informarsi, appare significativa alla luce dell’impatto che ha avuto, su questo terreno, la rivoluzione tecnologica successiva alla pubblicazione del libro.

Raffaella Baritono