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Michele Calandri e Mauro Cordero (a cura di) – Nuto Revelli – percorsi di memoria, “Rivista dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo e provincia” – 1999

Michele Calandri e Mauro Cordero (a cura di)
giugno 1999, n. 55

Anno di pubblicazione: 1999

È il titolo di un volume che recentemente è stato pubblicato come numero 55 (giugno 1999) della “Rivista dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo e provincia”. Si presenta come collezione di scritti dedicati a Revelli, e non ha niente del modulo tipicamente accademico, del tipo “scritti in onore di” (quasi sempre collezione di scritti eterogenei, spesso estranei al personaggio che si onorerebbe): nei molti contributi di questo libro, infatti, Revelli non è mai un pretesto, ma un oggetto di ricerca preso molto sul serio.
Così Luisa Passerini ricostruisce in dettaglio la storia paradossale della fortuna critica di Revelli presso i letterati, incapaci di apprezzare la studiatissima calibratura formale evidente già nelle prime opere, le quali vengono invece lette come “pagine di raccapricciante schiettezza, spoglie di ogni anche pur minima preoccupazione letteraria” (Vigini), “modo di raccontare che contravviene a qualsiasi suggestione letteraria” (Bo); incapacità che continua nel tempo anche da parte di personaggi del calibro di Calvino ed Arpino, i quali apprezzano Il mondo dei vinti per il contenuto informativo e per la denuncia dei disastri sociali ed economici che seguono l’abbandono della terra, ma sembrano non cogliere le straordinarie qualità letterarie che sostengono la traduzione in lingua dell’oralità dialettale.
Gli storici, d’altro canto, per lunghi anni si dimostrano perplessi di fronte alla soggettività dei testimoni e sottolineano il valore politico e sociale dell’opera di Revelli piuttosto che quello scientifico; non piace, sopra tutto, il suo modo di trattare il passaggio tra oralità e scrittura, considerato impressionistico e non scientifico (Absalom). Passerini, negli anni ottanta critica del Revelli storico, lo recupera adesso come letterato: la sua “ibridazione” geniale tra oralità e scrittura, inaccettabile per la filologia storiografica, diventa straordinariamente efficace dal punto di vista letterario.
Dei libri di Revelli Il disperso di Marburg, certamente letterariamente il più perfetto, è quello che attrae l’attenzione di gran parte dei contributi, soprattutto, e comprensibilmente, quella degli storici tedeschi (Bodo Guthmuller, Christoph Schminck-Gustavus).
Non posso passare in rassegna i diciotto contributi del volume; termino con quello di Mario Isnenghi, che legge i testi raccolti in opposizione alle interpretazioni che Revelli ne dà: nelle parole dei soldati contadini, infatti, ad Isnenghi accade di collezionare segni conturbanti, “indizi di un processo di nazionalizzazione delle masse comunque in corso, e in una preoccupante chiave clerico-fascista, non priva di spregi razziali nei confronti per esempio di greci, albanesi o slavi”. Mentre Revelli legge quegli stessi segni in modo opposto, come incrinature superficiali, ininfluenti a definire “una sostanziale innocenza prepolitica degli strati popolari, che il potere autoritario di un regime lontanissimo e sostanzialmente straniero aveva, con l’aiuto della censura, bruttato solo superficialmente”.

Giovanni Contini