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Napoli, Belle Époque. 1885-1915

Francesco Barbagallo
Roma-Bari, Laterza, 196 pp., € 18,0

Anno di pubblicazione: 2015

«Fare i conti con Napoli è complicato. Una città con una storia plurimillenaria […].
Una grande capitale europea, sempre ai vertici dell’alta cultura, ma segnata dall’analfabetismo
della sua plebe eccessiva e anche di aristocratici potenti» (p. 99). Della complessa
articolazione della città e delle sue contraddizioni, della sua modernità europea e dei suoi
ritardi tradizionali, delle molte innovazioni in campo culturale, artistico, industriale e
commerciale Barbagallo traccia, in sette brevi capitoli, un vivace e convincente tableau. E
il lettore viene coinvolto e sorpreso (e talora disorientato se non napoletano), in una ricca
storia dei molti luoghi e dei diversi ceti, tra nobili, plebei e nuovi borghesi, tra politici
corrotti e/o lungimiranti, nell’intreccio delle relazioni familiari legate al potere e ai grandi
progetti per la città, tra imprenditori stranieri di antico insediamento e nuovi capitalisti,
in un racconto che si spinge fino alle prime dure lotte sociali, all’emergere della nuova
classe operaia e al faticoso profilarsi di una vocazione industriale.
L’operazione apparentemente impossibile di racchiudere tanti temi in un arco di pagine
così circoscritto, corredandolo di giudizi sicuri e puntuali, è sostenuta dalla profonda
conoscenza della storia di Napoli e dagli importanti studi precedenti dell’autore (da quelli
su Nitti a quelli sulla storia della camorra), dalla messa in campo di fonti inedite e da una
ricca bibliografia sugli argomenti meno frequentati dalla storiografia tradizionale: come
l’attenzione per l’innovativa comunicazione pubblicitaria dei Grandi Magazzini Mele e
quella per il ruolo di vera e propria industria culturale assunto dalla canzone napoletana.
Il libro parte dai temi noti del colera, del risanamento e dell’inchiesta Saredo e prosegue
con l’analisi dei numerosi progetti urbanistici (tra cui quello visionario di Lamont
Young) e del sistema dei trasporti (con le prime ferrovie sotterranee), intrecciando le
vicende politiche al ruolo cruciale che ebbe la stampa locale in quegli anni con figure
centrali come quelle di Edoardo Scarfoglio e di Matilde Serao.
Nel quadro dedicato alle culture di Napoli una posizione di spicco è riservata ovviamente
a Benedetto Croce negli anni in cui matura il passaggio da erudito locale a intellettuale
europeo. Al suo fianco vediamo comparire Angelina Zampanelli, grande amore
e compagna del filosofo, donna di «imperiale bellezza» (così l’avrebbe definita in seguito
Prezzolini), morta precocemente nel 1913, che Barbagallo fa uscire dall’oblio in cui è stata
a lungo confinata.
«Fino alla grande Guerra Napoli è ancora una capitale europea. Dopo non lo sarà
più» (p. 178): sono le parole finali del libro. Un’affermazione così netta avrebbe forse richiesto
qualche confronto con le altre capitali europee, Parigi, Londra, Vienna e Berlino.
Nel contesto nazionale, Napoli pur rimanendo ancora, nel 1911, la più popolosa città
italiana –
seppure incalzata da Milano – aveva ridotto di molto il suo ritmo di incremento
demografico, segnale non trascurabile di un evidente mutamento delle gerarchie urbane
nell’Italia di inizio ’900.

Vittorio Vidotto