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Nel cuore rosso di Roma. Il Celio e la Casa del Popolo. Lotte sociali, politica e cultura 1906-1926

Giuseppe Sircana
Presentazione di Claudio Di Berardino e Mario Guerci, Roma, Ediesse, 157 pp., € 13,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il saggio di Giuseppe Sircana si inserisce in un filone storiografico avviato negli anni ’80 da Maurizio Degl’Innocenti – recentemente ripreso da studiosi di diverse «provenienze» disciplinari (penso al volume di Camilla Cipriani, a quello curato da Stucchi o a quello curato da Canovi, Fincardi e Pavarini) – e orientato a ricostruire le vicende delle Case del Popolo italiane a cavaliere dei secoli XIX e XX.
L’a. si concentra su quella sorta a Roma nel 1906, spiegando come intorno a questo edificio andasse consolidandosi il «cuore rosso» della capitale, grazie alla creazione nelle sue vicinanze, e in anni immediatamente successivi, dell’Educatorio Andrea Costa, della Scuola socialista di cultura, dell’Università proletaria e del Teatro del popolo.
L’opera prende le mosse dalla nascita del progetto (e, dunque, dall’idea lanciata da Enrico Ferri durante le celebrazioni del 1° maggio del 1905) e giunge al 1926 con la confisca del palazzo da parte del regime fascista che, nel 1929, lo avrebbe ceduto all’Opera Nazionale Dopolavoro. Un breve capitolo conclusivo è dedicato alle tormentate vicende dell’edificio di via Capo d’Africa nel dopoguerra e giunge fino ad illustrare la sua recente (febbraio 2015) assegnazione ad una società per loviluppo del territorio e delle imprese creata dalla Regione Lazio. Il volume è corredato da una bella raccolta fotografica e da un’Appendice di documenti.
La trattazione è lineare e di facile lettura (essendo evidentemente pensata per un pubblico di lettori non circoscritto agli «addetti ai lavori») e si giova della lunga pratica di questi temi da parte dell’a.; spiace, però, dover rimarcare che quest’ultimo sembra essere rimasto fermo al dibattito storiografico su Roma contemporanea della fine degli anni ’70. Il volume, in effetti, non dà alcun conto degli studi degli anni successivi e, in particolare, ignora le più recenti e rilevanti acquisizioni sulla storia del movimento operaio romano di inizio secolo (penso, quanto meno, ai lavori di Daniele D’Alterio, del quale si cita solo una voce biografica su Romolo Sabbatini), sul dibattito cittadino riguardo all’ingresso del paese nel primo conflitto mondiale (sul quale era necessario rimandare almeno al volume di Marco De Nicolò del 2016) e sulla diffusione e l’affermazione del fascismo nella capitale (il riferimento obbligato è al volume del 2014 di Sandra Staderini).
Un piacevole volume di «taglio» sostanzialmente divulgativo, dunque, che non esce da una certa quale «agiografia operaista», ma che ha il merito, come scrivono i presentatori, di costituire «un modo di riappropriarci di un pezzo importante della nostra storia e per coinvolgere i lavoratori, i pensionati e in generale i cittadini nella salvaguardia e nella rivitalizzazione del patrimonio pubblico della nostra città» (p. 13).

Paolo Carusi