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Nel nome degli altri. Storia dell’umanitarismo internazionale

Silvia Salvatici
Bologna, il Mulino, pp. 332, € 26,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il libro di Silvia Salvatici ha il merito di arricchire un filone di studi, quelli sulla
storia dell’umanitarismo, che in Italia sta cominciando a ridefinirsi, aprendosi a scenari
pienamente internazionali e transnazionali. La prima parte, Archeologia dell’umanitarismo
internazionale, si apre simbolicamente con i versi dedicati da Voltaire agli effetti del terremoto
di Lisbona del 1775, per seguire poi i percorsi, individuali e collettivi, dei primi
attivisti (come il quacchero George Fox o il battista William Knibb) anglosassoni, impegnati
nelle campagne abolizioniste della schiavitù. Di lì l’a. si addentra nei processi di
costruzione di reti internazionali, per affrontare le vaste contraddizioni dell’umanitarismo
coloniale: dalla stagione della Pax britannica alla «Age of Empires».
Nella seconda parte, la più consistente, si affronta invece L’umanitarismo di guerra;
si parte naturalmente dalla Crimea, con il progetto «infermieristico» di Florence Nightingale,
dalla metabolizzazione di Solferino da parte di Henry Dunant e dalla Sanitary
Commission nella guerra civile americana, per sottolineare l’impatto della Convenzione
ginevrina del 1864. Nell’analisi di genesi e sviluppi del Comitato internazionale della
Croce Rossa o del Friends War Victims Relief Fund l’a. sottolinea non solo il confronto
tra modelli culturali filantropici diversi, ma rende pienamente il senso della tensione dialettica
tra progetti utopici ed esigenze tecniche e tra pulsioni internazionaliste e pressioni
nazionaliste, culminate nel tentativo fallito di «creare una controparte umanitaria alla Società
delle Nazioni» (p. 130). Un passaggio cruciale del lavoro concerne lo spostamento,
tra le due guerre mondiali, dell’orizzonte dell’umanitarismo dal campo bellico a quello
sociale, con particolare attenzione ad alcune categorie (profughi, bambini – la britannica
Save the Children –, donne vittime della tratta) e settori d’intervento (l’igiene pubblica,
l’assistenza sociale). Con l’uscita dalla seconda guerra mondiale ci si concentra sulla genesi
del sistema Onu e in particolare sul ruolo dell’Unrra.
La terza parte, infine, Dall’Europa al Terzo mondo, in linea con gli studi postcoloniali,
analizza lo spostamento di orizzonti dell’umanitarismo verso la lotta alla fame, lo
sviluppo e l’idea di emergenza umanitaria, richiamando alcune esperienze (Biafra, Bangladesh,
Etiopia), fino alla revisione del rapporto umanitarismo/warfare, con il dibattito
sul diritto di ingerenza umanitaria.
Il lavoro, importante e articolato, è frutto della maturazione di una serie di ricerche,
tra archivi, fonti stampa e bibliografia, e offre importanti chiavi di lettura. Un mio dubbio
personale riguarda solo l’approccio molto anglosassone al tema che sembra escludere
dall’orizzonte esperienze «altre», dal contraddittorio Socorro rojo figlio dell’internazionalismo
comunista, all’umanitarismo sociale cattolico che (fin dal tragico incontro con
«l’altro» americano di Las Casas) avrebbe inciso profondamente sulla riformulazione del
pensiero giusnaturalista europeo, aprendo la strada a esperienze di mobilitazione per i
diritti umani tutt’altro che irrilevanti.

Massimo De Giuseppe