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Niccolò Capponi – I legionari rossi. Le Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola (1936-1939) – 2000

Niccolò Capponi
Città Nuova, Roma

Anno di pubblicazione: 2000

Nel 1933 l’Unione Sovietica si trovava di fronte a un colossale fallimento della sua politica. Fallimento tattico – “classe contro classe”, lotta al “socialfascismo” – che l’aveva portata al fallimento strategico: chiusura sine die di ogni possibilità di esportare la rivoluzione e anzi corsa contro il tempo per far fronte a una probabilissima aggressione della Germania. Di qui la politica dei Fronti popolari che è essenzialmente una politica di alleanze e di difesa. Naturalmente l’Urss non aveva abbandonato l’obiettivo finale della rivoluzione mondiale ma per il momento – un lungo momento – aveva altro cui pensare. Negare tutto questo sulla base di una continuità di frasi e dichiarazioni – è evidente che Dimitrov e compagni non potevano dire di aver messo tra parentesi la rivoluzione – poteva essere consentito ai contemporanei, che avevano buoni motivi per diffidare, ma farlo oggi in sede storiografica è indizio di un forte pregiudizio.
Capponi questo pregiudizio ce l’ha (tant’è che cita – ed esibisce in copertina – una frase della Pasionaria, pronunciata nel 1933, quando i Fronti popolari erano di là da venire, per condensare in essa tutta la politica sovietica negli anni trenta) ed è in questa fissità di concezione del rapporto comunismo-antifascismo che valuta il “mito delle Brigate Internazionali”. Ma non fa che opporgli un banale “contromito”. Messi da un canto i libri encomiastici dei Longo o dei Conforti, si limita a far propri i giudizi di segno contrario, come quello del volontario fascista Branciforte, per il quale la “grande maggioranza” degli uomini delle Brigate era composta “da disoccupati […], da emigrati per delitti politici, da giornalisti, artisti, studenti, i quali, chi per bisogno, chi con la speranza di trovare poi un lavoro proficuo in Spagna, si erano lasciati sedurre dagli accaparratori”. La critica delle fonti è fuori dall’orizzonte dell’autore.
Ma ci vuol altro che enfatizzare i limiti, le illusioni o l’imperizia militare di quei volontari per capire il senso della loro vicenda. Questa si inquadra nel punto abissale raggiunto dalla democrazia in Spagna, nella sua paradossale tragedia di dovervisi far rappresentare dal comunismo internazionale, capace di assumere quella rappresentanza in modo abbastanza credibile. Il fatto è che quello dell’Urss è stato un regime totalitario, negatore di ogni libertà e indifferente al valore della vita; ma per capire le fortune sue e del suo mito non serve rappresentarla come un impero del dottor No senza storia, servito da una legione di automi, solo e sempre proteso alla conquista del potere mondiale.

Gabriele Ranzato