Cerca

Nicoletta Bigatti – L’altra fatica. Lavoro femminile nelle fabbriche dell’Alto Milanese 1922-1943 – 2008

Nicoletta Bigatti
presentazione di Giorgio Vecchio, Milano, Guerini e Associati, 270 pp., euro 24,

Anno di pubblicazione: 2008

Fatica altra fu quella di un esercito di bambine occupate, negli anni del fascismo, nelle aziende tessili di un triangolo industriale compreso tra Busto Arsizio, Legnano, Gallarate; scarsa visibilità e assenza di considerazione sociale la collocavano al polo opposto della maschia fatica di quel lavoratore demiurgo che doveva rappresentare il carattere virile e latino della produzione industriale. A 11-12 anni, già formate da una pedagogia domestica del duro lavoro, potevano costituire più del 30 per cento delle occupate in azienda, con salari tali da dover lavorare una giornata e mezza per l’equivalente di un chilo di zucchero. L’assunzione di una o più figlie in fabbrica era fortuna e sollievo per famiglie che non potevano procrastinare l’apporto della prole al reddito, perché chiudeva una precarietà infantile fatta di lavori a domicilio, o in piccoli laboratori o a servizio; ciò non solo nelle economie più periferiche, come nel Nord-Est a lungo disastrato dalla guerra, ma anche in un distretto come l’Alto Milanese considerato all’avanguardia per le provvidenze elargite dagli imprenditori. Isole felici dovevano essere i cotonifici Frua e Cantoni di Legnano e Carminati di Gallarate, rievocati «un po’ come l’America», ma vi erano anche ambienti insalubri, intermittenza dell’occupazione per le crisi ricorrenti del tessile, mansioni appesantite dalla scarsa qualità delle materie prime. Più che attraverso il confronto con la storiografia sul lavoro femminile, lo studio di Bigatti affronta il tema da diverse angolature ? il territorio, le politiche imprenditoriali, le istituzioni collaterali ? e con dovizia di fonti, comprese quelle orali. Il limite di età per l’assunzione fu portato a 14anni dalla legge n. 653 del 1934, ma restavano ampie possibilità di deroga, documentate dagli stratagemmi messi in atto dalle famiglie per eludere l’obbligo: dall’attestazione di «incapacità intellettuale» al far risultare i bambini emigrati in Comuni dove non esistevano scuole medie. Nonostante l’età, erano capaci di antagonismo, sino al punto di sfidare, dal 1926 a tutti gli anni ’30, il divieto di sciopero quando riduzioni salariali e provvedimenti disciplinari diventavano oltraggiosi o il numero di telai imponeva ritmi insostenibili. Di particolare interesse risulta la descrizione dei convitti, istituzioni che supplivano le funzioni educative e di controllo della famiglia in modo da evitare che le giovani si trovassero nella condizione di lavoratori liberi davvero. Frutto di contrattazione tra famiglie, imprenditorialità, ordini religiosi femminili, essi coniugavano le logiche del profitto con quelle della pedagogia morale, alimentavano il paternalismo industriale, isolavano le fanciulle per avviarle al lavoro in garanzie di moralità ed era un isolamento che spesso si prolungava nei reparti. Attecchivano laddove si rendevano necessarie vere e proprie importazioni di manodopera: fu il caso di 702 giovanissime che dalla campagna di Crema arrivarono a Legnano tra il 1923 e il 1945; i paesi più poveri si svuotarono di ragazzine, per qualcuna l’abbandono di una casa che era «come un pollaio» si impresse nella memoria come un lieto ricordo.

Gloria Nemec