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Oliviero Bergamini – Storia degli Stati Uniti – 2002

Oliviero Bergamini
Roma-Bari, Laterza, pp. 278, euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2002

Si sentiva da tempo la mancanza di un’agile storia degli USA in un volume e Bergamini ha meritoriamente riempito un vuoto editoriale e didattico. La sua sintesi è un compromesso piuttosto riuscito tra le opposte esigenze di completezza informativa e scorrevole brevità. Anche il difficile equilibrio narrativo tra i principali filoni tematici (politica, economia, razza, genere, etnicità) è decisamente soddisfacente. La diversità degli approcci storiografici non è discussa esplicitamente ma risulta a tratti intuibile, grazie alla rappresentazione dei diversi soggetti che interagiscono nella storia della nazione. E’ insomma un manuale con una sua coerenza interna, un’adeguata completezza e, quindi, una certa efficacia come strumento didattico.
L’autore ha optato per due assi interpretativi paralleli che orientano il senso narrativo. Il primo è quello della discrepanza tra mito (di democrazia, rigenerazione, ascesa ecc.) e realtà nella storia americana. Il secondo è quello della prepotente espansione di un capitalismo privo di robusti contrappesi, e quindi capace di dominare la vita della nazione imponendo una straordinaria concentrazione di potere. Questi due assi hanno, ovviamente, una loro salda base storica e un forte potere di semplificazione esplicativa per ?un paese troppo complesso per lasciarsi riassumere in una formula? (p. 257). Ma hanno anche risvolti rischiosi, che emergono alla lettura da parte non di specialisti ma degli studenti a cui esso è rivolto. L’antitesi mito-realtà infatti porta spesso a sacrificare la complessità: gli studenti con cui ho discusso il libro hanno spesso finito per vedere nella vicenda americana non dei processi polivalenti e contraddittori ma una mistificazione o una ?grande bugia?. A troppi di loro la guerra civile è parsa un mero episodio di colonizzazione del Sud, le cui valenze emancipatrici e democratiche sarebbero solo retoriche; e il moderno liberalismo ? da Roosevelt a Johnson ? come un ingenuo o furbesco adeguamento di facciata affinché nulla cambi nell’ineguale distribuzione del potere.
Queste letture brutalmente semplificate non appartengono all’autore e a ciò che scrive ? sia chiaro ? ma sembrano discendere con troppa frequenza dalla lettura (almeno in quel campione statistico che è una classe di studenti universitari) di una narrazione talora organizzata intorno a ciò che avrebbe dovuto essere ? secondo un senso comune progressista europeo ? ma non è stato; al contrasto tra facciata e interni; alla tensione appunto tra mito e realtà. Non aiutano, in questo senso, né il lessico fortemente valutativo (l’abolizionismo ha ?connotati puritanamente manichei?; i nativi subiscono un ?autentico olocausto?; Nixon avvia ?una crociata contro il welfare state?) né l’occasionale scivolata verso la sentenziosità politico-morale.
Una diversa impostazione avrebbe indubbiamente aperto altrettanti problemi ? perché in una sintesi di questo tipo la coperta non può che essere sempre troppo corta ? e le qualità di questo manuale sono cospicue. Mi sarebbe piaciuto ancora di più se le sue energie fossero andate meno a sfatare il mito e più ad illustrare le dinamiche attraverso cui esso agisce come forza storica viva nella società e nella nazione americana.

Federico Romero