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Oscar Gaspari (a cura di) – Enrico Minio. Un sindaco «riformista» nell’Italia del dopoguerra – 2009

Oscar Gaspari (a cura di)
Roma, Donzelli, XXII-261 pp., Euro 27,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il volume presenta gli atti di un convegno dedicato a Enrico Minio, esponente comunista di Civita Castellana, che fu sindaco della sua città dal 1949 al 1964 nonché senatore e deputato dal 1948 al 1968. Come rileva il curatore Oscar Gaspari, autore dell’introduzione e dell’articolo sull’attività parlamentare di Minio, il percorso personale e politico di questo personaggio può assumere la valenza di prototipo per tutte quelle figure più o meno note che, facendo dell’attività di amministratori e politici locali il perno del proprio impegno politico nella dimensione nazionale, hanno contribuito a costruire la classe dirigente dell’Italia repubblicana. Non a caso il testo si completa con il confronto relativo ad altri due sindaci comunisti, dal più noto caso di Giuseppe Dozza a quello meno noto di Gino Cesaroni, trattati rispettivamente da Luisa Lama e da Maria Antonietta Serci.La vicenda di Minio fornisce in breve grandi spunti di riflessione sul ruolo e sul contributo dei comunisti italiani nei confronti della democrazia, e sulla loro capacità di collegare gestione amministrativa e governo locale alla cosiddetta via italiana al socialismo. Nello stesso tempo essa ne testimonia le contraddizioni e le stesse dolorose vicende personali che il ricambio generazionale all’interno del Partito produsse, tanto da portare perfino al suicidio nel caso specifico del sindaco di Civita Castellana, estromesso progressivamente dalle cariche ricoperte nel corso degli anni ’60. Il caso di Minio, che aveva passato circa 15 anni in carcere durante il fascismo e aveva partecipato alla Resistenza (si vedano i saggi di Luigi Cimarra e Sante Cruciani), dimostra peraltro come l’attaccamento fideistico al modello sovietico potesse convivere con la capacità di rappresentare l’intera collettività cittadina e la difesa dell’autonomia locale al di là dell’appartenenza ideologica. Se ne deduce che le esperienze amministrative delle regioni «rosse», ma anche quella di un Comune del Viterbese, possono avvalorare l’interpretazione dell’evoluzione in senso riformista dei comunisti italiani. Perché ciò si verifichi è necessario tuttavia un ulteriore strappo che soltanto il ricambio politico nazionale degli anni ’70 può agevolare, per quanto già prima, come ricorda Gaspari, l’applicazione del modello sovietico delle autonomie locali ad un paese democratico dell’Occidente avesse facilitato realmente la partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica.È infine apprezzabile, nel volume, il tentativo di delineare e promuovere fonti locali, orali e archivistiche (si vedano le parti curate da Cruciani e, per le fonti emerografiche, da Luciano Osbat) tali da poter favorire quella ricostruzione a più livelli dei rapporti tra centro e periferia che, seppure ancora non sistematicamente, si sta avviando anche per la storia dell’Italia repubblicana.

Giovanni Schininà