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Paolo Di Motoli – I mastini della terra. La destra israeliana dalle origini all’egemonia – 2009

Paolo Di Motoli
Lecce, I libri di Icaro, 404 pp., Euro 13,00

Anno di pubblicazione: 2009

La tesi della monografia, peraltro molto documentata, è la seguente: nella lunga storia politico-culturale del movimento sionista, prima della proclamazione dello Stato di Israele nel maggio 1948, e poi nel lungo conflitto che ha opposto sinistra laburista – espressa nella figura carismatica di David Ben Gurion (1886-1973) – e destra nazionalista – rappresentata inizialmente nella figura carismatica di Zeev Jabotinskij (1880-1940) e in un secondo tempo soprattutto di Menachem Begin (1913-1992) -, chi ha vinto è stata la destra. E la vittoria, per Di Motoli, non è solo politico elettorale, ma soprattutto culturale. Il binomio tradizionalismo religioso-nazionalismo radicale esprime l’egemonia politica della destra capace di assorbire e «unificare» i diversi flussi migratori che hanno più volte modificato la fisionomia sociale del paese tra anni ’40 e questo decennio.Un dato che si esprime con pochi numeri ma chiari: negli ultimi 33 anni, ovvero a partire dal 1977 quando la destra va al governo e la sinistra va all’opposizione, la destra ha governato per 26 anni e la sinistra per 7; nel 1977 tutta l’area della sinistra esprimeva 59 deputati su 120 e oggi ne esprime 20. Un processo che si consolida negli anni ’80, ma che ha una lunga fase preparatoria tra anni ?50 e anni ’60, e alcune premesse nella destra sionista degli anni ’20 e ’30, e il cui tema essenziale è la sicurezza.Di Motoli descrive con precisione il processo di costruzione culturale della destra sionista. Inizialmente gruppo di minoranza, contrario all’ipotesi laburista e forte soprattutto nella piccola e media borghesia urbana, che non sopporta il controllo pubblico sull’economia, la politica interventista dei laburisti di Ben Gurion ed è critica sulla linea di compromesso e di mediazione con il mondo arabo-moderato. Già con Jabotinskij ma soprattutto con Begin, anche sulla scorta di una posizione in cui il nemico principale è la potenza coloniale inglese, la destra è convinta della necessità di un confronto e di un conflitto per l’affermazione dell’entità statale ebraica che a lungo concepisce «dal mare alle due rive del Giordano» e che solo negli anni ’70 verrà abbandonata con la rinuncia alla Transgiordania. Questa rinuncia non sarà priva di una nuova visione dello spazio territoriale, ora rivendicato non solo sul piano della sicurezza (un tema su cui l’insistenza sul pericolo di un secondo Olocausto costituisce l’argomento sempre più agitato, una dimensione metastorica lo definisce Di Motoli), ma anche su quello della rinascita e della ricostruzione «dell’Israele Antico».Un tratto che diviene costituente della nuova fase della destra israeliana, quella guidata da Benjamin Netanyahu (1949), e in cui gli elementi di affinità con le componenti teocon della destra americana e del mondo cristiano sono particolarmente evidenti e contribuiscono a fondare una nuova versione dell’ideologia sionista che ormai, con le linee originarie del «socialismo del lavoro», non ha più alcun legame.

David Bidussa