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Paolo Ferrari – Il cammino verso l’Occidente. Berlinguer, il PCI e la comunità europea negli anni settanta – 2007

Paolo Ferrari
Bologna, Clueb, 272 pp., Euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2007

Il libro ricostruisce un passaggio fondamentale della storia del Partito comunista italiano in un decennio complicato come gli anni ’70: la svolta in senso europeista. L’a. si muove su due piani: ricostruire la cronologia delle relazioni tra il PCI e l’Europa comunitaria; analizzare le implicazioni più profonde dell’europeismo del PCI in rapporto alla sua collocazione internazionale e alla sua identità «comunista». Il punto di partenza è il 1969, quando un piccolo gruppo di comunisti, guidato da Amendola, entra nell’Assemblea parlamentare della CEE. Quello di arrivo è individuato nel 1979, quando, secondo l’a., con le prime elezioni europee a suffragio universale, inizia una fase nuova nel rapporto tra i partiti e la dimensione europea.La ricostruzione di come dall’«Europa dei monopoli», dalla CEE «arma dell’imperialismo statunitense» ecc., si arrivi all’adesione alla politica e ai valori del mondo occidentale mediante la scelta europeista – rendendo il PCI diverso in questo dagli altri partiti comunisti – è svolta con grande finezza e attenzione. La base è un approfondito lavoro di ricerca nelle carte conservate presso il «Gramsci», ma anche presso archivi personali di ex dirigenti del Partito (come Luciano Barca). I punti di svolta – a partire dalla condanna dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia nel 1968 – sono individuati nel 1973, quando si ha un significativo passo in direzione di una posizione più aperta verso la CEE, e nell’incontro con le posizioni di Altiero Spinelli a partire dalla metà degli anni ’70. Naturalmente questa evoluzione – così la definisce l’a. – è vista alla luce delle grandi questioni che la «politica estera» pose alla politica e all’identità del PCI in quel cruciale decennio. Ferrari mette al centro della sua interpretazione il nesso nazionale-internazionale e il concetto di «doppia lealtà» proposti da Franco De Felice, evidenziando le tante «svolte» operate da Berlinguer ma anche la loro incompiutezza alla luce di una collocazione incerta del Partito. Il PCI infatti non era più ancorato al blocco sovietico ma al tempo stesso non rompe definitivamente con quel riferimento – considerato, tra l’altro, l’unico baluardo contro un’«americanizzazione del mondo». In sostanza si avvicina all’Europa e per molti versi la usa per caratterizzarsi in modo nuovo sul piano internazionale. Viene però categoricamente rifiutata una svolta in senso socialdemocratico, non volendo il gruppo dirigente investire i problemi legati alla sua identità più profonda. In definitiva – come nota Ferrari – «anche quando il PCI dà vita a un’azione compiutamente occidentale resta prigioniero delle compatibilità internazionali» (p. 30), come nel caso dell’eurocomunismo.Se una critica si può fare al lavoro di Ferrari è di non aver fatto valere fino in fondo il nesso nazionale-internazionale per quanto riguarda la «politica interna» dei comunisti negli anni ’70 rispetto alla quale i riferimenti nel testo sono scarsi. Considerare separatamente i due piani della politica comunista appare, ad esempio, impossibile per il cruciale triennio 1976-1979. In questo senso la «politica estera» del PCI corre il rischio di una sovraesposizione nella trattazione.

Ermanno Taviani