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Paolo Gheda – La Compagnia di Sant’Orsola – 2000

Paolo Gheda
Sciascia, Caltanissetta-Roma

Anno di pubblicazione: 2000

Lo studio di Gheda è una ricostruzione puntuale e piacevolmente scritta di un tassello interessante della storia delle istituzioni religiose femminili dell’Ottocento. Poco ancora sappiamo, infatti, delle modalità con cui la chiesa riprese le fila della vita religiosa dopo la tempesta rivoluzionaria, in un clima di crescenti difficoltà con lo Stato. L’autore colloca la rinascita della Compagnia di Sant’Orsola (“monache in casa” che si occupano dell’educazione delle ragazze) negli anni della Restaurazione in una panoramica ampia che, se pure centrata su Brescia, comprende larghi stralci di analisi delle situazioni ligure e piemontese e poi, più in breve, del resto della penisola.
La rinascita di quello che era stato un progetto coraggioso e innovativo di Angela Merici – creare una “terza via” d’impegno femminile oltre alle tradizionali scelte di monaca e moglie che aveva conosciuto una sorte travagliata dopo il Concilio di Trento -si realizza quasi contemporaneamente in due luoghi dell’Italia settentrionale, in Piemonte per opera del prete ligure Giuseppe Frassinetti e a Brescia, città d’origine dell’iniziativa mericiana. Per quanto esistano legami fra le due situazioni, che si rifanno più o meno consapevolmente a un modello comune, fra le due istituzioni si delinea ben presto una competizione vinta, grazie all’aiuto di Pio IX, da Brescia, forte di un legame più diretto con le antiche regole mericiane.
In una fase in cui era necessario un profondo rinnovamento della vita religiosa femminile – operazione intrapresa in quegli stessi anni dalle fondatrici delle congregazioni femminili di vita attiva con la creazione di nuove figure (come la superiora generale) e con il controllo diretto dell’amministrazione – le orsoline, sotto la direzione del clero, scelgono invece di ancorarsi al passato, alle regole dettate dalla Merici stessa. Così il regolamento, che nel momento in cui era stato scritto costituì una innovazione rivoluzionaria, nell’Ottocento diviene invece una pesante zavorra per le donne che vi aderiscono. Lo strettissimo controllo della chiesa locale, a cui si univano i vincoli di una vita in famiglia molto tradizionale, non permisero a queste “secolari consacrate” di percorrere le strade d’innovazione ed emancipazione femminile che invece stavano sperimentando le suore di vita attiva.
Nel libro di Gheda, all’abile e attenta ricostruzione delle reti amicali, sacerdotali e familiari che stavano dietro alla rinascita delle compagnie di Sant’Orsola, non si accompagna però un inquadramento di questa esperienza all’interno della vita religiosa ottocentesca né, tanto meno, della storia delle donne. Manca inoltre completamente l’attenzione alle risorse economiche su cui si basa questa rinascita, alla loro provenienza e amministrazione, anche se tutto questo non solo costituisce un problema centrale delle istituzioni religiose nella fase delle leggi eversive dello Stato, ma anche un segno inequivocabile dell’autonomia femminile nei confronti dell’istituzione ecclesiastica.

Lucetta Scaraffia